Tesori dalla biblioteca di Serrara Fontana: “VIOLETA” di Isabel Allende

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Questa settimana, la nostra Arianna Orlando ha scelto per noi “VIOLETA” un libro di Isabel Allende.

Isabel Allende è per Violeta composta, decifrabile e affettuosa. Scrive di femminismo “virilmente” e cioè in quella maniera “sempre giusta e ingiudicabile” che hanno gli uomini di poter discutere di qualsiasi cosa senza essere considerati isterici, impazziti o pretenziosi. Il suo femminismo, che è alto e fiero, non è accecato dalle luci al neon della ribalta e del pubblico consenso ma è un pensiero dai contorni definiti che nel “cerchio poetico” di Violeta si diffonde come un sangue tra vene e capillari. E Violeta, che è ribelle, padrona di sé e della sua lunghissima vita, moglie, imprenditrice e amante, madre e infine nonna, si appoggia delicatamente tra le lenzuola di carta di Isabel Allende, soggiace al ruolo della biografia di sé, si consegna al suo amato Camilo in un testamento dalle linee audaci ma sentimentalissime.

La penna è tra le mani di Isabel Allende un piffero capace di richiamare le parole dai loro ghetti, dalle crepe e dalle cloache in cui si sono perse per addensarsi in nubi narratrici di storie dentro le nostre teste. E così Violeta scrive e descrive di sé, taglia e cuce e scuce una tela di cui è padrona- senza Itaca e senza Ulisse di ritorno- in cui la protagonista è lei mentre le si addensa il tempo intorno. I cento anni di Violeta sono il XX secolo di un Sud America indimenticabile, incastonato simbolicamente tra due date: il 1920 e il 2020, il primo come anno dell’epidemia spagnola e il secondo come anno della pandemia da Covid 19.

E questo tempo di mezzo, questo secolo che ha creato conflitti e paure e si è abbattuto e rigenerato, corrisponde quasi del tutto agli anni della madre di Isabel Allende, nata proprio nel 1920 e morta nel 2019. “Mia madre”, disse la Allende, “era una donna straordinaria. Non ha potuto però mantenersi da sola, prima sotto la tutela del padre, poi del marito.” E continua dicendo così:” Questa libertà la do a Violeta perché non c’è femminismo senza indipendenza economica”.

Attraverso un secolo infatti noi assistiamo alla nascita della bambina viziata e maleducata, Violeta, “in una notte buia e tempestosa del 1920” e la seguiamo attraverso le sue trasformazioni in ragazza, in donna, in moglie, in imprenditrice. E il suo ruolo di imprenditrice, che ci costringe oggi in un amplesso di associazioni,anche involontarie,a collegarci al mondo di Ferragni o di Rihanna, fa di lei una pioniera del diritto femminile in ambito lavorativo così come la Mitchell fece della spregiudicatissima ma liberissima e abilissima Rossella O’ Hara un modello di successo nel coraggio e nell’entusiasmo imprenditoriale. E come per Rossella O’Hara, non mancano a Violeta, mortificazioni e spergiuri sulla sua impudica condizione di donna lavoratrice.

Ma Violeta non è una donna plasmabile dalle idee del mondo e nel cosmo è piovuta distrattamente per compiere la vita a modo suo. E così agisce. In un delicatissimo equilibrio tra prosa e temi, su una distesa di parole profumate che quasi ricordano un campo fiorito spontaneamente in maggio, Violeta nasce e muore e vive un secolo. Per motivi diversi questo romanzo, che è un diario personale, che si auto-destina a Camilo, la creatura più amata, può piacere a tutti.

Io l’ho incontrato per sbaglio, in preda a un delirio d’amore per il Sud America. Nel tentativo di percorrere con la mia immaginazione le Ande, ho trovato Isabel Allende-tra un Marquez e un Sepúlveda-seduta di fronte al Cile e così l’ho conosciuta, incontrata e amata. E sono finita in questo luogo che in realtà non esiste, che è “il Cile secondo la sua immaginazione”, che è “il Cile sotto-pelle” nel disegno di un villaggio che è lo spazio-tempo della sua infanzia e lì mi sono perduta mentre cercavo la strada di ritorno alla letteratura di casa.