L’amica geniale di E.Ferrante, vol.1|Recensione

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Rubrica “Tesori dalla biblioteca di Serrara Fontana” a cura di Arianna Orlando

L’amica geniale, la famosissima storia di amicizia di Lila e Lenù, è un insieme di quattro libri il cui inizio si concatena perfettamente alla fine: vale a dire che la storia inizia esattamente nello stesso punto in cui finisce, in un’atmosfera eterna di continuità- come in un uovo o in un cerchio.

La voce narrante è quella personalissima della co-protagonista Elena Greco che, come in un cliché letterario dai toni di Svevo, decide di “vendicarsi” dell’amica Raffaella Cerullo, detta Lila, che ha ostinatamente deciso di “s-cancellarsi” e condannarsi a un oblio senza ritorno. Ciò che sicuramente si configura come un aspetto narrativamente suggestivo è che Elena (non sappiamo dire, data la fatale coincidenza delle persone e dei nomi, se parliamo della Greco o di Ferrante) riesce a incastrarsi perfettamente nella età narratologica di chi scrive, sebbene-per sua stessa ammissione-è, al momento del racconto, una donna di sessanta anni circa.

Così, in questa rappresentazione di mondo che è il volume primo, la penna di Elena è una mano di bambina prima e di adolescente poi. È tutto evidentemente palese nell’atteggiamento delle descrizioni,nelle interpretazioni della realtà ma non nella ricchezza di un lessico angusto, feroce, raffinatamente bestiale che è dunque la penna di F.

Non è un testo adatto a chi si sconvolge delle immagini sullo sfondo di una Napoli periferica, rionale, post-bellica, ritratta grigia e anemica nella fiction di Rai Uno con Margherita Mazzucco e Gaia Girace. Si tratta di un mondo “al di là”, selva di cemento a cielo aperto, luogo di legge sospesa in cui sopravvive -per questioni genetiche e non- “il più forte” e chi, comprendendo quale questi sia, si adegua e gli obbedisce. È una terra di impedimenti e privazioni, di fame e di lotta per la fame.

All’interno di questo scenario così angusto e così violento, dove la gente si assoggetta involontariamente alla figura prepotente di don Achille, la scuola è il punto di incontro di Elena Greco, la figlia dell’usciere, e di Raffaella Cerullo, la figlia dello scaparo. Entrambe povere tra i poveri si trovano nel luogo in cui non contano più le dinamiche del fuori ma solo quelle della propria intelligenza.


L’intelligenza di Lila è vivissima, tenace, brillante, “uterina”-oseremmo dire perché è ventrale, è interna, è femminile, è misteriosa e partorisce cose dal nulla. Lila è capace di trasformare la materia sporca del rione da cui proviene e la violenza cui assiste ritualmente in idee meravigliose. Elena, invece, ha un’intelligenza scolare. È un’ottima alunna, è diligente, è precisa nello studio, ama le lodi e per ottenerle si impegna tantissimo ma la verve di Lila le mancherà per tutta la vita perché ciò che lei ottiene è dato da sforzo e costanza, ciò che Lila possiede invece è dato da cause e circostanze naturali.

Per questo motivo, l’amicizia solidissima tra le due sembra essere una continua contesa sul piano dei meriti e delle intelligenze anche quando il bivio delle medie è costretto a dividerle: per ragioni di scelta familiare, Elena proseguirà i suoi studi e Lila invece no. Nessuna pietà per la bambina “nera e cattiva” che tira i sassi contro Enzo Scanno e litiga selvaggiamente con il fratello maggiore Rinuccio. È Lila che insegue magnificamente gli insegnamenti che provengono dal mondo per riprodurli a sua volta in oggetti, in idee, in esperienze. E non architetta per sé la femminilità che in Elena, Elena stessa la descrive così, è goffa e ridicola e in lei invece gemma rendendola seducente e sinuosa come un fluido d’ambrosia. I maschi del rione, i disgraziati feroci-gli affamati-i camorristi leoni, sembrano affascinati dal suo incanto e dal suo incantesimo vivo e vivente. Nella vita della giovane Elena, tanto simile a quella di una quattordici-quindici-sedic-enne di oggi che si divide tra scuola, amici e famiglia, nessun accadimento prevale in maniera vistosa-a parte l’innamoramento immortale per il giovane Nino Sarratore– se non in funzione di Lila. E nella vita di Lila, in cui Elena si assottiglia nel ruolo verbale di narratrice, di amica, di spettatrice meravigliata, si genera un’iperbole ascendente di fatti (fatti volgari, fatti violenti, fatti inusuali per le giovani quattordici-quindici-sedic-enni di oggi) che raggiungono l’apoteosi nello sposalizio con l’animalesco Stefano Carracci.

Questa è la storia sopra le righe, la nostra versione taciuta del sospetto che L’amica geniale sia quel testo che non finisce mai, che a ogni rilettura è una lettura nuova-o è forse addirittura proprio la prima- perché la Ferrante ha nascosto nelle parole semi di cose sconosciute, di sensazioni irrisolte, di dettagli segreti e allora al lettore tocca scoprire tutto questo, interpretarlo, intenderlo e portarlo con sé in ogni nuovo libro ancora e ancora.