Le Martiri dei nosti tempi

Published by

on

di Arianna Orlando

NiUnaMenos.
NonUnaDiMeno. Non ancora, non più.


“Se domani non torno, voglio essere l’ultima” recita il verso più eterno e solidale della poesia di Cristina Torre Cáceres: “si mañana me toca, quiero ser la última” si dice nella lingua in cui la poetessa peruviana ha pensato e ha emesso il suono lungo e celestiale di un fiume in versi che lega i punti più lontani del mondo con una radice rosso porpora.

25 novembre 2023, a cura dell’Associazione Legami e Radici si è tenuto un evento dal titolo “Malanova”, la cui protagonista è stata Anna Maria Scarfò,  autrice dell’omonimo libro.
Le donne che sono state ricordate oggi (i cui nomi erano incisi da tratti neri e grossi su lapidi di fogli bianchi) non sono fiori purpurei che “quando recisi dall’aratro, languiscono morendo”, nè papaveri “che chinano il capo sul collo stanco, quando la pioggia lì opprime”, perché al di là delle morti eroiche e divine dei poemi e delle storie eterne, queste nostre donne sono morte combattendo. Hanno conservato sui loro corpi i lividi dei colpi, marchi di fuoco di armi mute. Hanno lasciato sulle loro mani le stigmate dell’essere state uccise perché donne e si sono trasformate, da oggetti per il compiacimento maschili, in simboli di lotta in cui vogliamo credere con forza e stridore di denti. Dio, vorremmo avere parole di fuoco, parole acide, parole brutali per raccontare ciò che ha raccontato a noi oggi Anna Scarfò. Vorremmo essere capaci di produrre, come arpie, suoni acuti e indomabile capaci di scavare nella coscienza patriarcale che è di maschi e femmine( sì, donne, siete patriarcali anche voi e il vostro patriarcato è il peggiore). Scavare cosa? Scavare per chi? L’orrore, per osmosi, si assorbe nella pelle. Ed è acuto. Sentire le parole di una donna, una donna in carne ed ossa, una donna vera-non solo una voce sulla carta- che dice del suo stupro, che dice della violenza che l’ha presa, che dice dell’incubo che ha vissuto, è una circostanza incomparabile e a tratti incredibile. Può un uomo essere tanto brutale? Può un essere umano raggiungere la fine della sua umanità così profondamente? Certo, direbbe la Arendt: il male è banale. Il male, ancora peggio, è comune. Il male, ancora ancora peggio, si nasconde nel volto gentile di un ragazzo dal nome Domenico Iannello, come in quello da “bontempone” di Danilo Restivo, come in quello da bravo ragazzo di Filippo Turetta e come in quello di molti altri.
Questa la testimonianza di Anna Maria Scarfò di cui ci ha colpito maggiormente un tratto, un momento brevissimo: a un certo punto, mentre lei parlava (e parlava con parole di ghiaccio, parole di fuoco, parole di lame), la sua bambina-una creaturina innocentissima, il trofeo di una umanità invincibile – si appendeva alle braccia e al corpo della madre come un fiore alla sua radice. E allora non più un papavero rosso con la testa piegata sul suo collo-stelo sotto i grammi di peso della pioggia, non più il fiore purpureo che languidisce quando reciso dall’aratro, Anna Scarfò è apparsa nella sua vera natura: un tronco di materiale eterno e morbido: legno e tungsteno, acqua e diamante, ferro contro tutte le leggi dell’ossidazione. Quella donna, questa donna, si è tratta da sola dalle fiamme di ghiaccio dell’inferno, dalla palude dell’omertà e si è data il riscatto alla maniera di quei re che toglievano la corona dalle mani dei papi e se la mettevano sulla testa da soli. Noi non sappiamo se la Scarfò è consapevole di questo: della infinita sapienza della sopportazione, della coraggiosa scelta della narrazione e della testimonianza, della forza sovrumana che occorre ad attraversare il male e a uscirne moralmente illesi, anzi a uscirne moralmente capaci di ergersi come vessillo della lotta. Questo, mie care donne, è il momento più atroce e duro: quello del combattimento corpo a corpo contro le ideologie che hanno abitato le teste degli uomini e anche le nostre per anni, cementandosi in strati e strati di barbarie e di silenzi. Questo, mie care donne, è il momento in cui siamo chiamate a prendere la consapevolezza del fatto che i nostri corpi non esistono come mezzo di compiacimento del maschio, che non siamo strumenti per il loro divertimento e compagnia per loro sulla terra. Questo, mie care donne, è il momento in cui- se vogliamo e volete farlo- bisogna riscrivere la genesi perché ci rifiutiamo di accettare che un corpo di donna fu estratto da una costola di uomo. Noi siamo dell’idea che, eccoci in carne ed ossa, siamo state plasmate dalla stessa materia argillosa e lucente, soffiate dall’alito di un dio che non ci ha creato come “materia di scorta” oppure come “complemento di Adamo”. Come si fa la battaglia noi non lo sappiamo dire perché parole così non sono state ancora inventate e non sono state ancora contenute da questo lessico creato dai maschi per i maschi e usato dalle femmine per dire le cose che piacciono a loro, ai maschi. Noi sappiamo solo che, se per esempio la Fallaci fosse stata presente oggi al Polifunzionale di Fontana, non si sarebbe compiaciuta della presenza di tutte quelle donne che costituivano circa il 90% della platea ma si sarebbe disperata per tutti i maschi assenti. Dove era la maggioranza degli uomini oggi? Ecco, questo è un fatto di ineguagliabile importanza: tali discorsi, tali racconti, tali libri-come “malanova”-servono alla donna per tracciare la rotta verso le stelle, servono al femminile per comprendere che è ingiusto tutto ciò che il patriarcato le ha imposto dall’inizio dei tempi. Ma una donna, qualsiasi donna, non necessita sfortunatamente di comprendere cosa voglia dire essere un oggetto del desiderio malsano, cosa voglia dire esistere in maniera impari rispetto al coetaneo maschio, cosa voglia dire avere paura nel camminare di sera per strada né come ci si senta ad essere insultata e seviziata dalle parole di altre donne poiché queste esperienze-seppure non nella tragedia della Scarfò- sono molto comuni e molto frequenti. Un uomo, invece, ignora del tutto questa potenza di devastazione, questa ignomia che si porta appresso dal giorno in cui è stato generato perché è vero che non tutti gli uomini sono patriarcali ma tutti gli uomini, anche contro la propria volontà, sono beneficiari di questo sistema di società.
Innocenti fino a prova contraria, quasi onnipotenti, più simili a Dio di quanto pensiamo e diversi da noi (cui è stato imposto il modello della Madonna, perfetta-vergine-bellissima e ubbidiente), gli uomini sono chiamati a fare la loro parte in questo mondo di donne che chiede, grida e sibila libertà e non liberazione.

“Come nastro di porpora le tue labbra”, donna, le scioglierò e ti darò lingue impetuose come fiumi d’argento.