di Camillo Buono
Qualche giorno fà la redazione di “Serrara Notizie” si è recata in quel di Lacco Ameno per incontrare Don Pasquale, a distanza di poco più di due mesi che ha lasciato la nostra parrocchia di Serrara per andare a prestare il suo servizio sacerdotale in quel del Fungo.
Ad accoglierci abbiamo trovato il solito Don Pasquale con la sua inconfondibile voce, il suo sorriso ed il suo calore umano.
In questa occasione abbiamo voluto ripercorrere ma anche scoprire il Don Pasquale che spesso si cela dietro la sua dinamicità, quella dinamicità di un sacerdote proveniente dalla “vecchia scuola” ma che riesce ad essere super intraprendente così come ha dato abile dimostrazione nella nostra comunità riuscendo a dividersi tra le tante parrocchie del nostro comune.
Don Pasquale quanti anni di sacerdozio hai dedicato a Dio con la tua fede:
Allora preferisco dire non quanti anni ho dedicato a Dio con la mia fede ma più quanti anni Dio ha sopportato me come sacerdote. Comunque sono 35 anni, sono diventato sacerdote il 26 maggio del 1988 ed è da allora, ma forse anche da parecchio prima, che il Signore mi sopporta e mi supporta.
Da dove nasce la tua fede. Come è arrivata la tua “chiamata” alla devozione della vita sacerdotale:
Il Signore mi ha mandato alcuni segnali intorno all’inizio della mia adolescenza, parliamo di quando avevo tra i dodici e i tredici anni. Allora ho iniziato a intravedere cosa avrei voluto fare. Ma in realtà, prima di giungere alla scelta ho avuto diversi maestri o meglio, come li chiamo io, diverse chiavi che mi hanno aperto le porte della vita.
La prima chiave delle porte della vita sono stati mia mamma e mio padre proprio quando ho espresso loro la volontà di entrare in seminario. Ricordo che all’epoca di questa mia scelta Don Cristoforo Di Scala aveva aperto un piccolo seminario al cuotto, ed io all’età di 15 anni avevo espresso ai miei genitori la volontà di entrare in seminario. Mia mamma mi disse di no! Mi disse studia prima e poi termiati gli studi deciderai. Quindi questa per me è stata una prima chiave. Un’altra chiave della mia vita è stata quando dopo la maturità, quando entrato in seminario, ricordo che era la sera del cinque di ottobre, e mi sentivo un pò turbato, avevo appena finito di vedere il film di San Francesco e chiamai a casa a mamma e papà. Loro si chiesero il motivo della chiamata, se per caso avessi cambiato idea in merito alla scelta di entrare in seminario e mi dissero “Pasquale se hai cambiato idea non ti preoccupare, noi siamo contenti lo stesso, vieni, torna”. No io dissi che non avevo cambiato idea ma che avevo soltanto un po di nostalgia e mamma mi disse tranquillo che “mamma prega per te”. Poi quando divenni prete, ricordo che al momento del bacio delle mani, come ben sapete al sacerdote, una volta consacrate le mani si baciano, ed io baciai prima le mani a mamma e poi a mio padre e loro fecero lo stesso con me e in quell’occasione mamma mi disse che lei anni prima aveva chiesto a Don Ciro Scotti di avere un figlio prete. Don Ciro Scotti è stato un sacerdote morto in un concetto di Santità a Piedimonte, dove attualmente è lì sepolto. Mia mamma solo dopo che io ero diventato prete mi rivelò questo suo desiderio. E’ tutto infatti nasce proprio da Don Ciro Scotti, in quanto mia mamma quando era ragazzina, era stata alunna proprio di Don Ciro e lei, fin da adolescente desiderava, forse vista l’enorme bontà e sapienza di Don Ciro, avere un figlio proprio come lui e questa la ritengo un’altra chiave della mia vita.
Ancora, un’altra persona che reputo essere stata una mia chiave è stato Don Liberato Morelli, quando io ragazzino un giorno mi avvicinai a lui e gli dissi “Don Liberato io voglio fare il prete da grande” e lui mi rispose: Pasquale per diventare prete bisogna avere confidenza con Dio. E così io da allora mi sono sempre chiesto cosa significasse questa confidenza. Ed oggi credo di aver capito che la confidenza che intendeva Don Liberato era quella di avere con Dio un rapporto particolare, amichevole, fraterno, insomma sentirlo come un vero amico.
Da lì in poi per me è iniziato tutto, in questo dare confidenza a Dio che mi ha portato nella vita ad incontrare tante altre persone, tante altre chiavi che mi hanno aperto altrettante porte. Una porta che si apre una dietro l’altra senza sapere mai cosa c’è dietro. Oggi, con i miei sessant’anni, rileggo il mio percorso e tutte le mie chiavi e, riesco a vedere il mio modesto cammino nella fede. Ma la cosa più bella è che tu non sai mai quello che ti succede dopo ogni porta e nemmeno ti interessa perchè al tuo fianco hai Gesù, camminare nel buio sapendo che Gesù ti tiene per mano – la fede è questa, perchè noi non abbiamo le idee chiare su cosa ci capiterà domani cosa accadrà? questo per me significa affidarsi. L’unica certezza che ho è quella che il Signore mi porta per mano. La fede non è vedere ma la fede è fidarsi.
Ottobre, da quanto ci hai raccontato, per te è sempre stato un mese particolare. Come quello di quest’anno, perchè ti sei trovato a lasciare la Chiesa di Serrara Fontana. Cosa ti ha lasciato questo tuo cammino a Serrara Fontana e cosa invece Serrara Fontana ed i suoi fedeli hanno lasciato a te?
Mi soffermo innanzitutto sul concetto di lasciare. Lasciare è come morire e, il sacerdote deve insegnare a morire perchè per l’appunto morire significa lasciare. È il più grande atto di fede che l’uomo può fare è, vivere l’esperienza della morte dove non deve esserci la domanda “domani cosa mi capita” ma deve esserci la domanda nel momento in cui chiudo gli occhi di “dove vado?”.
Ed infatti per me che ho lasciato una parrocchia, non mi preoccupo di sapere cosa ho lasciato ma mi preoccupa di più sapere dove vado – non mi preoccupo di lasciare – questa è una preoccupazione che ti sussurra il demonio che vuole convincerti a non lasciare perchè logicamente ti dice “vedi tu te ne andrai e i ragazzi si perderanno, tutto quello che hai fatto sarà distrutto. No io seguo Gesù che dice a Pietro, quando sarà tolto il pastore il gregge si perderà ma io ho pregato perchè la tua fede non venga meno. C’è sempre un atto di fiducia nelle parole del Signore. Lasciare pertanto è come morire ed è questo un atto di fede – meglio lasciare che restare avendo la presunzione di voler fare tutto. Anche perchè noi spesso veniamo indicati come se fossimo i padroni delle parrocchie, delle comunità e addirittura i padroni delle anime. L’unico padrone è il Signore non noi. Io posso anche restare ma, chi mi dice che non faccio guai? Allora meglio preferire che sia il Signore a fare per me e lasciar perdere ogni tentazione.
Quando i ragazzi di Serrara Fontana mi hanno salutato piangendo, io gli ho detto ragazzi pensate che per venire qui da voi altri ragazzi hanno pianto, ma se non avrei fatto piangere loro non avrei mai conosciuto voi. Quindi alla fine anche il lasciare comporta sempre un prendere e questo credo che sia di aiuto nella nostra vita.
Un ragazzo e una ragazza che si sposano sono chiamati a lasciare, lasciare le loro famiglie, le loro sicurezze per una vita nuova. Anche lo stesso momento di morte significa lasciare, lasciare la propria vita con coraggio. Ed il Signore ci insegna proprio questo, a vivere con coraggio e a lasciare tutto con coraggio e con maturità e con la fede si ha la concezione di accettare questi momenti.
Quando sono andato via da Serrara Fontana ho lasciato una coroncina del rosario ai ragazzi con sopra scritte le parole che Rut disse alla suocera – “dovunque tu andrai io andrò”. Le stesse parole che rivolgiamo al Signore, dovunque tu vuoi che vada io andrò. Perchè tutto entra in un disegno. Certo è stato un momento molto difficile, sono stato colto di sorpresa, quando io pensavo di essermela svignata ma, di fronte a un sacerdote che è venuto meno per motivi di salute la scelta del Vescovo è caduta su di me. Ho avuto la notizia alla fine di agosto di quest’anno e mi sono tormentato per parecchio tempo perchè non sapevo come affrontare, come dire alle persone che sarei andato via, e in special modo ai ragazzi con cui si era instaurato un bellissimo rapporto. E’ stato faticoso ma abbiamo affrontato la situazione. Ricordo che alla festa partonale abbiamo avuto il momento dei commiati strappalacrime, necessitiamo anche di questi momenti purtroppo.
Subito dopo, il due ottobre sono entrato a Lacco Ameno.
Cosa mi aspetta? Certo che Lacco Ameno non è Serrara Fontana o Sant’Angelo. Ci sono più abitanti e moltre altre situazioni diverse però non mi demoralizzo, io dico vabbè ci provo perchè nella vita bisogna sempre provarci e mai arrenderesi. Esistono situazioni peggiori dove ci sono persone che combattono con problemi molto più gravi e quindi alla fine è importante una sola cosa sapere di essere dalla parte del Signore.
Tra i tanti progetti che tu hai realizzato a Serrara Fontana con i bimbi avevi creato un bel gruppo e sicuramente avevi in mente di realizzarne tanti altri progetti ma, trasferimento ed obbedienza al Vescovo hanno fermato tutti i progetti. O ci sarà continuità?
Io ho sempre pensato che il più bel progetto è quello di creare una grande famiglia. Perchè logicamente i tempi sono cambiati e non possiamo pensare di avere un prete per parrocchia e quindi, il mio era quello di far sentire tutti una grande famiglia rispettando le individualità delle parrocchie. Vedi, nessuno vuole distruggere le tradizioni e le devozioni però facciamoci i conti alla mano, i numeri dei sacerdoti sull’Isola sono questi. Ricordo che quando io salii a Serrara Fontana il Vescovo Lagnese mi disse “Pasquale guardati intorno, noi abbiamo un sacerdote anziano come Don Angelo e abbiamo un altro sacerdote anziano di 93 anni come Don Vincenzo, quindi renditi conto che noi questo abbiamo”. Come ben sapete oramai le Diocesi si stanno unendo nella persona di un solo Vescovo.
Ed è di questi giorni la notizia che il Vescovo Lagnese è diventato Arcivescovo anche di Capua. Quindi voglio dire sono situazioni che stanno attualmente correndo nel nostro mondo. Uno non è che quando accorpora vuole distruggere. Il mio pensiero è stato quello di creare una grande famiglia. Siamo un grande comune dove la parrocchia la incontro strada facendo quando parto da Fontana e arrivo a Sant’Angelo. La mia è stata una parrocchia che incontravo lungo la strada nelle varie contrade. Si cerca di prendere il lato buono di certe situazioni che non dipendono da nessuno ma dai tempi che si vivono. Quindi il mio progetto su Serrara Fontana è stato quello di unire, non per annullare ma per unificare, così come si riunisce una famiglia. Il Vescovo Lagnese all’epoca infatti si è sempre raccomandato di non umiliare, non mortificare, non creare situazioni dove umiliare un terriotrio rispetto ad un altro. Ed infatti ciò che si è tentato di fare non è stato un discorso di moritficazione ma di umana civiltà proprio con l’intento di creare comunione tra le tante frazioni che avevano perso la loro guida.
Diceva Thomas Merton “L’uomo è relazione” e la comunione serve a creare relazioni tra le comunità così come lo è l’eucarestia che è Comunione. Se noi veniamo meno a questi valori dobbiamo dichiararci falliti. Se noi siamo sempre per le divisioni abbiamo fallito. Il progetto divino per l’uomo invece è quello di creare comunione. Oggi ad esempio i ragazzi sono molto attratti da tante altre attività che il mondo moderno offre, ma credo che a Serrara Fontana ho sempre cercato di lavorare, insieme a tutta la comunità, per la comunione di tutti perchè credo che la comunione sia il banco di prova della nostra fede. Unire senza mortificare.
Ed infatti spesso mi piace raccontare che Gesù effettua le operazioni di matematica che sono la moltiplicazione e l’addizzione. Ricordo una volta ad una prima comunione feci protare ad una bimba una lavagnetta con su scritto “Gesù insegnami le tue operazioni di matematica”.
L’addizione mi piace immaginarla come aggiungere ad un lavoro tante cose buone. La moltiplicazione invece per me è quella di moltiplicare il bene. Questa è la matematica di Gesù.
35 anni di sacerdozio. La chiesa di Ischia è cambiata e sono cambiati i sacerdoti, le persone e soprattutto anche l’isola. E’ cambiata anche la fede?
La fede se è vera fede, non cambiaerà mai. Alla fede possiamo aggiungere tante cose intorno ma il momento in cui queste cose intorno vengono tolte, vengono meno, deve apparire la fede per ciò che è. Con il tempo si creano le cosiddette incrostazioni sulla fede e quando queste vengono tolte, allora vedi la cosa nella sua realtà. Immagina come una malattia o un lutto, possa portate una perosna a valutare la sua vita all’essenziale. Tante volte alla vita aggiungi tante cose che poi nei momenti particolari ti rendi conto che sono state un superfluo e non la sostanza della tua vita.
La nostra è una fede di natura devozionale alle quali si aggiunono ad esempio tanti eventi come le processioni, le tradizioni religiose che sì, sono molto belle, ma che lasciano il tempo che trovano. Spesso noi sacerdoti oggi ci lamentaimo che le persone non vengono più alle novene, alle processioni, alle questue, ma questo purtroppo è il risultato che pian piano sta venendo a mancare quella fede nella tradizione. Questo non significa che sta finendo la fede, anzi, sono convito che questo processo porterà con il tempo alla nascita di una nuova fede e forse anche ad una fede un pò più autentica perchè, la gente avrà sempre bisgono di Dio, avrà sempre bisogno dei valori religiosi. E allora noi sacerdoti dobbiamo essere capaci a presentarli in un altro modo. Un pò come quando in famiglia si mangia sempre la stessa cosa e ci si stanca. Non è che un tuo figlio non vuole mangiare è solo che tuo figlio vorrebbe lo stesso piatto presentato in un modo diverso.
Invece noi no, noi usiamo degli stereotipi perchè non siamo capaci di volere o accettare il cambiamento. Tutto questo oggi ci porta a cadere nella grande incoerenza ovvero quella dei cristiani che finiscono nel vortice delle cattivare, anche quelle più spicciole, che portano in sostanza a perdere la fede, ad essere disorientati e a non vedere più i veri punti di riferimento perchè tante volte si aspetta dai sacerdoti molto senza nulla dare in aiuto.
In 35 anni di sacerdozio nel tuo percorso lungo e bello, sono cambiati anche i peccati delle persone?
No, il peccato è sempre lo stesso, solo che di fronte a certe problematiche si avverte la consapevolezza che il peccato esiste. Si scoprono i peccati. Ad esempio cose che fino e ieri si ignoravano, si pensavano non essere peccato solo perchè l’abitudine o la convenienza ti portava a dire “no, non è peccato” oggi, con altre circostanze di vita ti accorgi che sono peccato. Poi logicamente cambiano anche le situazioni. Una volta ad esempio non esisteva la fecondazione artificiale o la convivenza. Esistevano delle situazioni in cui non si sapeva che era peccato o in cui non esisteva la circostanza del peccato. L’andamento della vita sociale e politica del nostro paese non considerava certi casi mentre oggi sì.
Quante volte ad esempio la falsa testimonianza, l’evasione fiscale o la menzogna ancora oggi non sono considerati peccati da tanta gente che spesso dice ancora che male c’è. Ma non solo anche per quanto riguarda la convivenza o addirittuta quando si minimizza su certe problematiche sociali come per esempio il divorzio o il tradimento, si è sempre saputo che è una cosa cattiva. Ecco i comandamenti, “non desiderare la donna degli altri” ma anche “non desiderare l’uomo degli altri”.
La nostra cultura, il nostro scindere il giusto per lo sbagliato deriva anche da ciò che oggi si punta a ritenere importante anche a seconda di ciò che la società politica vuole marcare di più. La violenza è sempre stato un peccato e come tale condannata dalla Chiesa. Quante donne fino a qualche decennio fà venivano maltrattate ed umiliate o mortificate. Allora la società civile aveva la convinzione che la donna dovevesse tacere e starsene zitta per amore della famiglia. Per la chiesa è sempre stato un peccato ma solo oggi la società civile è cambiata dicendo ad un uomo questo non si fa, non è giusto. Ecco, sono cambiati i tempi, i modi e soprattutto l’eco della moralità sociale che si è resa conto dell’alto numero dei femminicidi.
Diciamo che è cambiata un pò di più la consapevolezza della coscienza di fronte a certi fatti.
Ripercorrendo il tuo cammino sacerdotale, quale chiesa porti di più nel tuo cuore?
Porto tutte le parrocchie sempre nel mio cuore, in ogni parrocchia ho vissuto un momento particolare ed ogni parrocchia mi ha aiutato a crescere ed in ogni parrocchia ho conosciuto un lato di me e quindi, per questi motivi posso dire che le porto tutte nel mio cuore così come di tutte le persone che ho incontrato nelle parrocchie e di cui ricordo ognuna nome per nome così come del resto anche nell’esperienza scolastica, io ricordo il nome di ogni mio alunno. Perchè mi piace pensare che ciò che si scrive nel cuore di una persona è il nome e non il cognome.
Quando ero al Liceo, con i compagni di scuola mettemmo la regola che i professori dovevano chiamarci per nome e non per cognome. Infatti in una nota osservazione che faceva Giosuè Carducci diceva che l’importanza di una persona è nel nome perchè il cognome indica la famiglia ma è il nome che ci indica la persona.
Serrara Fontana è sempre stata l’oasi verde dell’isola ad alto valore contadino. Pensi che questo valore si stia perdendo con una influenza di vita più cittadina? Serrara Fontana ritieni che mantiene ancora questo suo “essere condatino”?
Allora la cultura contadina è sempre stata una cultura molto saggia. Mio padre era di Serrara e aveva la quinta elementare. Ma la cultura contadina che lui aveva, non è mai una cultura chiusa anzi, mio padre è stato sempre un uomo di ampie vedute. Ricordo che un giorno mio nipote, ragazzino, disse a mio padre che si voleva sposare una donna di colore e mio padre gli rispose semplicembte “basta che gli vuoi bene”. Questo giusto per far capire come si era aperti benchè la cultura condatina non portasse ad avere titoli accademici o altro. Io sono stato sempre fiero di aver avuto un papà così che, benché cittadino di Serrara che vuol dire “serrato, chiuso” in realtà fosse dotato di bei valori che ha trasemsso a me ma anche a tante altre persone sia della famiglia che del nostro paese. Vedi, noi dobbiamo impegnarci quotidianemente per evitare i famosi campanilismi ma si deve lavorare affinchè il Sapere deve essere al servizio e non il potere altrimenti si diventa una società squallida. Ad esempio, i tanti ragazzi del nostro territorio che si laureano e che lavorano fuori devono far sì che la loro esperienza nel modo contribuisca a rendere Serrara Fontana e la nostra isola un paese aperto e larghe vedute. Ma ahimè spesso invece, nonostante i tanti ragazzi con brillanti esperienze poi ritornati a casa diventano persone con mentalità chiuse. E questa è una vera sconfitta.
Non bisogna usare il proprio sapere come potere perchè, questo significa che sei più potente dell’altro più capace dell’altro e quindi inizi a usare l’inganno o a realizzare ingiustizie. Queste sono cose che non fanno onore.
Ciò per dire che alla fine possiamo vivere in un luogo a prevalenza contadina e avere tanti contadini di mente aperta oppure vivere in una città con tanti laureati, con una mente chiusa. Il luogo o ciò che si fà non ti rende migliore di un altro.
Vuoi lasciare un augurio a chi ti ha succeduto nel serivizo parrocchiale a Serrara – Fontana e Sant’Angelo e lasciare un augurio ai tuoi concittadini ex parrocchiani?
Io credo che ognuno di noi non possa essere il clone di un’altro. Ognuno ha la sua orginialità e la sua individualità e con i suoi occhi vede le cose a modo suo.
Per chi mi ha succeduto auguro solo di voler bene a questa gente, alle persone e di fare loro del bene.
Per quanto riguarda invece agli amici parrochiani che ho lasciato, gli auguro di collaborare, collaborare con il signore e venire incontro specialmente alle carenze dei sacerdoti mettendo in comune quello che ci riesce ad unire e non a quello che ci può dividere. Le nostre capacità, le nostre potenzialità e le ricchezze che sono sul nostro territorio non devono assolutamente portarci a chiuderci ma anzi, bisogna essere propensi anche a tagliare un pezzo di noi se quel pezzo può portare il bene nella comunità, nelle persone e fare ciò che dicevo prima, ovvero comunione.
Vedi come accade in tante relazioni succede che un marito o una moglie taglia qualcosa di sè per il bene comune così come può essere in un rapporto tra genitore e figlio dove si taglia qualcosa per creare un bene maggiore. Se vogliamo restare intatti e non vogliamo rinunciare a nulla non possiamo mai giungere ad un risultato bello e maturo. La linea di Gesù è questa: dalla morte nasce la resurrezione. Se il chicco di grano muore porta frutto ma se non muore marcisce e non dà frutto. Se noi vogliamo il bene di un paese allora qualche volta necessita sacrificarci il che non significa sacrificare nel senso che se non si fa come dico me ne devo andare, no! Significa che certe cose che io vorrei non si possono realizzare ed accettare, che magari si realizzeranno domani facendo sì che si realizzino scelte comuni per il bene comune. Questa è l’importanza della relazione tra le persone in una comunità.
La redazione di “Serrara Notizie” ringrazia Don Pasquale per la bellissima chiacchierata che ci ha concesso, ricca di curiosità e spunti di riflessione, che noi abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e che con piacere offriamo ai nostri cari lettori.


