Di Arianna Orlando.
Sono un cittadino di Serrara Fontana e in quanto tale abiuro l’impellenza della fretta, rinnego la praticità del comodo, esercito il sacrosanto diritto alla separazione dalla città. Sono cittadino di Serrara Fontana e in quanto tale il mio spazio si allarga da est a ovest: da una punta montuosa che è il vertice su cui si posa e buca il mio cielo traccio una linea discontinua fino al mare. Discendo, come una volta, “a bordo d’asino” perché è con gli antichi muli che i miei antenati hanno scavato strade nel mondo.
Sono cittadino di Serrara Fontana ed esercito il diritto contrario alla bellezza moderna: sono a mio agio tra le “parracine” infeltrite di un’erba che per te non vale niente e per me invece è il risultato di una concatenazione di eventi, di un caos tanto perfetto che permette all’ortica di nascere accanto al suo antidoto. Sono cittadino di Serrara Fontana, rivendico il diritto a coltivare la mia terra e ad esserne orgoglioso, a ereditarla e a farne eredità inesauribile per i miei successori. Sono benedetto dal monte e benedetto dal mare. Rivendico la parentalità della natura ordinata che mi ha messo al mondo e come una creatura divina e mitologica sono figlio nello stesso momento dell’Eremo, della discesa, del lido santangiolese. Come un liquido amniotico l’acqua salmastra di Sant’Angelo circonda il mio spazio, come un osso duro e invincibile il monte Epomeo mi tiene in piedi confitto nelle carni a livelli più profondi della mia fisicità.
Sono cittadino di Serrara Fontana, figlio e padre, spirito e fisico, servo e padrone perché per il mio comune io provo a migliorare il mio senso di cittadinanza ma non ne sono servitore: usufruisco in prima persona dei benefici del mio miglioramento. Sono cittadino di Serrara Fontana e in quanto tale sono sospeso dal compito di progredire tecnologicamente perché non voglio che il mio territorio si trasformi in una città: non mi mancano i grattacieli né le strade dello shopping dai nomi alteri. Non aspiro a cieli newyorkesi sopra di me. Non ambisco a Tokyo. Non rimpiango Miami. Non mi mancano neppure le luci caleidoscopiche dei lampioni funzionanti né i ronzii delle auto e dei mezzi in andirivieni. Io sono cittadino di Serrara Fontana e rivendico il diritto alle salumeria dallo stile anni ’80, ai bar semplici con le sedie in fila lungo i bordi dei muri. Rivendico il diritto alla conservazione contro la deriva del consumismo e alla calma contro l’incontenibile fame del caos megalodontico che fagocita la tradizione per farne lampadine al neon, cibo da fast food, moda in serie. Sono destinato a incontrare prati e foglie, percorrerò strade sterrate, sentieri tra i boschi di castagni. Inveirò contro il cattivo progresso ma rifiuterò il progresso che lascia indietro le persone e favorisce le macchine. Inveirò contro i paesaggi industriali, preferirò sempre al passo della modernità il suono della campana della chiesa della Madonna della Mercede che scandisce le mie ore da quando sono nato. Ho imparato a parlare in questa lingua montana fatta per me dai miei padri e dalle mie madri, ho imparato a dire “casa” tra muri di foglie e muri a secco così asciutti in estate, così umidi in inverno. Sono cittadino di Serrara Fontana e per questo a monte l’estate sussurra e si annuncia piano tra l’inverdirsi della terra e il cinguettio degli uccelli e si ritira, altrettanto piano, mesi dopo quando la stessa terra si secca e gli uccelli diventano muti. Sono figlio di Serrara Fontana e te lo ho sentito dire tante volte: vieni da lì sopra, fa freddo lassù? Come si sta e non ti stanca venire da così lontano?
Mi hai fatto sentire straniero nella stessa terra su cui siamo poggiati entrambi. Hai disprezzato le mie origini, hai riso del mio “clima più fresco” e ti sei sentito migliore di me perché per andare al supermercato tu fai due passi, io invece ci arrivo in auto. Eppure ti sfugge che io sono un figlio fiero di Serrara Fontana, un paese in movimento, antico e già moderno, rispettoso della natura di Ischia che è sempre isola e mai, mai città. Eppure sei allegramente inconsapevole che io non avrei voluto nascere in altro luogo se non in questo dove l’Epomeo punge il cielo e da bambino ero sicuro di poterlo toccare arrivando fino a lì.
Tu non sai che l’estate io la bevo piano, a sorsi nell’orecchio: il suono dei sandali dei turisti mischiati alle loro lingue germaniche o francesi nei miei timpani sono cadenzati e ritmici come quelli del mare sotto le onde di luce solare e cadente dal cielo. Tu bruci d’asfalto, io mi esalto nella campagna umida e assolata. Io odoro l’inverno dal legno degli alberi che inumidiscono, dal muschio che corre lungo gli argini delle strade. Io sono figlio di Serrara Fontana: ho la montagna, il mare, un paese che mi ha educato all’attenzione e alla pazienza, alla virtù dell’attesa, alle feste patronali vissute nell’intimità di una strada addobbata con le luci colorate, i lumini e le lenzuola del corredo antico. Sono cittadino, figlio, madre e padre di Serrara Fontana e coltivo nei campi-oltre ai vegetali e alla frutta- la fortuna di esservi nato.

