di Arianna Orlando|
Angelina Mango si classifica prima sul podio sanremese e attira su di sé i commenti positivi e negativi di chi vede in lei rispettosamente una ragazza con la voce alata e scintillante e di chi vede in lei una raccomandata, una con il cognome importante. Non si considera però in questa ottica surrealista, quale solo Sanremo può concedere, che Mango artista meraviglioso e poliedrico, non ha mai avuto nella sua carriera il grande consenso né la diffusione musicale che la figlia Angelina ora sta possedendo e gestendo senza enfasi, con sobrietà e capacità. Il cognome, diviso per due, da lei e dal fratello Filippo, è il lascito coerente di un’eredità che conserva sicuramente il talento e l’occasione ma si nega, si nega orgogliosamente, al nepotismo. La voce di Angelina si eleva da una gola piccola piccola fino a toccare le vette dell’Ariston e a superarle, fino alle punte infinite dell’Eurovision e da lí prende il fiato per voli pindarici nel resto del mondo.
Su Geolier cosa non è stato detto, per lui cosa non è stato fatto: dal tifo della sua Napoli fino al dissenso degli spettatori dell’Ariston palesato con disprezzo, con rancore e con bruttezza. Geolier è stato tacciato di incapacità vocale, di anti-musicalità, di indignità sanremese ed è solo l’inizio di una lunga carriera: con i suoi numeri, Geolier, ha raccolto l’amore della gente ma si è posto al centro di una insidiosa sfida a chi è il più cattivo, il più acido, il più insidioso tra i commentatori, gli spettatori e gli ospiti del palco. Non è il primo momento in cui ci troviamo e ci troveremo a esprimere con forza l’idea che è possibile, anzi è un diritto prima che un dovere, esprimere la propria opinione-con ironia, energia, capacità di argomenti, etc. ma, che mai e in nessun caso debba mancare la ricerca dell’equilibrio tra rispetto e dignità. E Geolier è stato trattato in modo indegno dallo stesso Ariston che, fuori di lì, fuori dallo scheletro del teatro, sparso e snocciolato, ascolta Geolier alla radio e non si indigna.
Dite a Ghali che non abbiamo capito niente di ciò che ha tentato di fare a Sanremo, che l’attacco voluto a Geolier ne è l’esempio: se non siamo capaci di essere italiani nei confronti dei meridionali e li separiamo da noi con metodi sfacciati, figuriamoci cosa siamo capaci di fare davanti a chi viene da un contesto arabo o macedone, è figlio di un’altra lingua madre, si sposa in abiti diversi dai nostri.
Raccontava, Ghali, di una generazione di nomi nuovi e di un nuovo modo di fare Italia e di essere italiani con il suo stile dinamico, eclettico. Ghali è una particella di luce in movimento anche quando è vestito di nero ed è snodabile nelle curve che prende la sua voce ed è permeabile nel modo in cui entra sotto la pelle. La sua canzone non è un atto politico perché bisogna smetterla di credere che la politica è quella cosa della televisione, è quella cosa dei ministri che poi guadagnano tanto da comprarsi la casa a Portofino, è quella cosa che non sappiamo fare perché “chi sono io e chi sei tu?”. “Io sono politica e tu sei politica e ogni cittadino è politica perché abbiamo nel voto il potere di far cadere i governi e nella voce quello di direzionare il destino di una nazione: chi lo vuole capire, lo capisca prima che sia troppo tardi”. Ma come fate a dire che qui è tutto normale, per tracciare un confine con linee immaginarie, bombardate un ospedale?
Chiudiamo così, come Amadeus con l’Ariston dopo cinque anni d’amore, sperando che le canzoni mettano le ali e facciano il giro del mondo. Solo dopo avere imparato molte cose ed essersi riempite di altri occhi, altre storie, altre persone, accetteremo di vederle ritornare da noi.
Foto di copertina “Il Messaggero”

