di Mollo Elia
Potrebbe capitare, se siete appassionati di calcio, che vi troviate a sfogliare un vecchio album di figurine “Panini” e che tra i tanti calciatori sicuramente vi salterà gli occhi un nome “Astutillo Malgioglio”.
Sarete colpiti dal suo curioso nome non usuale, e certamente dal suo viso simpatico, rotondo e incorniciato da due baffi ben curati.
Ma quello che ci ha spinto a parlarvi di lui, non è né il nome, né il fatto che stato un ottimo portiere ma, bensì del suo essere stato “un campione di solidarietà e altruismo”.
Astutillo da tutti ribattezzato “Tito”, infatti nel 2021 è stato insignito dal Presidente della Repubblica “Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”. Si è meritato questa carica importante per il suo costante, onesto e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia.
E allora come inizia questa straordinaria è bellissima storia che può essere solo di esempio per tutti noi?
Il 1977 Astutillo giocava nel Brescia come portiere e la sera di Natale di quell’anno il calciatore, che all’epoca aveva 19 anni, decise di seguire alcuni amici che andarono a trovare dei bambini cerebrolesi all’interno di un centro. Quel giorno decide di portare con sé anche la sua fidanzata, futura moglie, Raffaella e da quel giorno trovandosi davanti a quei bambini sente nel suo cuore una forte emozione e allo stesso tempo, nasce dentro di lui il forte bisogno e il desiderio di fare qualcosa di concreto per quei ragazzi, perché come da lui dichiarato:
“La vita non è solo una palla di cuoio”.
Nel frattempo la sua vita va avanti si sposa con la sua amata Raffaella, da cui ha una figlia Elena, ma non dimentica la promessa fatta a se stesso e così, in accordo con la moglie, inizia a mettere in atto il suo sogno. Infatti, lo stesso anno apri una palestra chiamandola “Era 77”, che altro non è che l’acronimo delle iniziali del suo nome, di quello della moglie e della figlia (Elena, Raffaella e Astutillo).
In questa palestra dà la possibilità, in modo completamente gratuito, a tutti coloro che hanno bambini con distrofia di avviare un percorso di recupero motorio.
Ma come dice un famoso detto: “l’invidioso morirà, ma mai l’invidia”. Il suo lavoro nel sociale non viene visto di buon occhio nel mondo del calcio e con il tempo Astutillo va incontro a non poche difficoltà.
Nella stagione 1981-1982 viene messo fuori squadra, perché accusato di non essersi impegnato abbastanza, bensì di aver dedicato tutto il suo tempo, le sue attenzioni, le forze e la sua energia:
“….agli handicappati…anziché parare…”.
Tutto assolutamente non vero, perché il nostro campione di solidarietà non aveva mai rinunciato a un allenamento e non era mai venuto meno al suo lavoro.
Successivamente, accade che l’allenatore della Roma Liedholm, lo vuole nella sua squadra e lui gli dà la sua disponibilità con la speranza di cambiare aria e di trovare un ambiente migliore.
Fortunatamente viene accolto subito da tutti in modo caloroso e anche se come portiere di riserva, vince la Coppa Italia e arriva in finale di Coppa dei Campioni. Ma, le cose con l’allenatore non vanno alla meglio in quanto si sente messo da parte e così decide di dire sì a Gigi Simoni, che lo vuole come titolare alla Lazio per la stagione 1985-1986.
Questo sarà un periodo veramente difficile, dove anche una persona calma e pacata come lui, può arrivare a un punto di rottura.
Per capire bene quello di cui stiamo parlando bisogna tornare al 9 marzo 1986, quando all’olimpico si gioca Lazio contro Vicenza e proprio questa data verrà difficilmente dimenticata da Astutillo, in quanto sono gli stessi tifosi della Lazio che lo prendono di mira e iniziano a urlargli le accuse più bieche e malvagie. Viene preso come capo espiatorio per non aver parato un goal, gli urlano di pensare solo agli “handicappati”, gli lanciano pomodori, bottiglie e tanto altro ancora. Lo stadio è sovrastato dei fischi dei biancocelesti, al povero Astutillo sembra di vivere un incubo, all’improvviso gli salta agli occhi tra i tanti striscioni uno in particolare, con su scritto testuali parole:
“Tornatene dai tuoi mostri”.
Il calciatore arriva al limite della sopportazione, non riesce più a controllare la sua rabbia, esce dal campo, si sfila la maglia, e non prima di avergli sputato sopra, la scaglia con visibile rabbia e delusione verso gli ultras della Lazio.
Dopo questo gesto di un uomo esasperato, la squadra decide di proporre la sua radiazione per oltraggio alla maglia, cosa che fece male per una seconda volta al cuore di Astutillo, tanto da portarlo alla decisione di “attaccare definitivamente le scarpette al chiodo”.
Non poteva dimenticare quello striscione, ma soprattutto una parola: “mostri”. Subito ai suoi occhi apparve il viso dei “suoi bambini”, quelli che cercava di aiutare tutti i giorni, quelli a cui dedicava ogni suo singolo momento libero e pensando a tutto questo si vergognò profondamente al posto di quei tifosi.
Cercò di lasciarsi tutto alle spalle, si dedicò completamente ai suoi ragazzi, questo finché, quando meno se lo aspettava, arriva una telefonata, all’altro capo del filo c’era Trapattoni che sinceramente dispiaciuto per quanto gli era accaduto, gli propose di giocare nell’Inter. Trapattoni, adoperò una frase che arrivo diretta al cuore di Astutillo:
“Il calcio ha bisogno di figure come la tua”.
Finalmente arriva il suo momento di pace, gioca per cinque anni e dichiara che è stato Dio che ha messo sul suo cammino Trapattoni, un uomo che lo aveva scelto sicuramente per la sua bravura come portiere, ma anche per l’uomo che aveva riconosciuto in lui.
In quegli anni, grazie a quello che riuscì a guadagnare rinnovò la palestra con delle attrezzature più moderne e da tutta Italia iniziarono ad arrivare ragazzi che avevano bisogno di fare riabilitazione.
Astutillo era talmente entusiasta del suo lavoro e del suo impegno verso i suoi ragazzi, che riusciva in qualche modo a trasmetterlo anche agli altri. Ne è prova il fatto che uno dei suoi compagni, il tedesco Klinsmann, un giorno decise di seguirlo in palestra e qui vide con i suoi occhi come il suo collega si metteva completamente al servizio di quei ragazzi in difficoltà, riuscì a leggere nei suoi occhi l’amore con cui li aiutava e ne rimase fortemente colpito tanto da staccare un assegno da 70 milioni di lire.
Nel 1991, quando il suo allenatore Trapattoni, lascia l’Inter Astutillo fa lo stesso. Gioca un’altra stagione nell’Atalanta, finché nel 1992, all’età di 34 anni, decide di lasciare il calcio e questa volta per sempre.
Purtroppo viene ben presto dimenticato, e poiché resta senza alcun fondo è costretto a chiudere la palestra. Ma come in tutta la sua vita, non si scoraggia e insieme alla sua principale sostenitrice, la moglie Raffaella, continua ad aiutare i ragazzi andando casa per casa e facendo personalmente le terapie.
Astutillo Malgioglio possiamo veramente definirlo un uomo con un cuore grande, che per anni correva dai suoi ragazzi prima e dopo ogni allenamento prima e dopo ogni partita.
Tanto grato ai suoi ragazzi che quando il presidente della Repubblica al momento del conferimento del riconoscimento, si complimenta con lui dice:
“…Ho già ricevuto tanto dalla mia vita, che non penso di meritare anche questo. Non so se sono degno di ricevere questa onorificenza, voglio condividerla con le famiglie di quegli angeli che mi hanno dato la possibilità di fare la cosa più bella del mondo: aiutare il prossimo…”.
Con queste commoventi e profonde parole concludiamo e non ci resta altro che ringrazie ad Astutillo Malgioglio per la lezione di vita che ci ha dato.


