Una rubrica a cura dello Chef Alessandro Nistri
Lo sapevate che la “genovese”, con questo nome è conosciuta soltanto da noi campani?
Questa ricetta è una di quelle di cui la cucina partenopea è più gelosa, perché è capace di racchiudere in sé tutta la ricchezza e la tradizione culinaria dell’Italia meridionale.
Con il suo sapore ricco e avvolgente dato dalla lunga cottura, la genovese ha da sempre conquistato i palati delle generazioni campane. Ma la sua origine è un bel rompicapo, pieno di leggende più o meno dimostrabili.
Ma avete notato che quando parliamo di genovese, c’è sempre qualcuno che si chiede “ma se è napoletana, per quale motivo si chiama così?” In questo caso la risposta non è mai una sola, ma andiamo con calma con qualche cenno storico.
Innanzitutto, uno dei motivi per cui prenda il nome di un’altra zona d’Italia non è ufficialmente conosciuto, ma possiamo dire che sono state avanzate ipotesi davvero fantasiose per dare una giustificazione.
Ci troviamo nel XV secolo, nell’epoca delle Repubbliche Marinare, qui il via vai tra nord e sud per lo scambio commerciale era continuo e la zona portuale era frequentata dai marinai genovesi che stanziavano nel porto napoletano ed in quella location vi erano molte “bettole” (osterie) che preparavano da mangiare per sfamare i marinai genovesi.
La leggenda narra che si preparava una pietanza a base di carne e molta cipolla.
Secondo invece un’altra ipotesi, invece, il piatto sarebbe stato una genialata di un cuoco napoletano che veniva soprannominato “O’Genovese”, da cui appunto, il nome della pietanza.
Ma se proprio volessimo essere pignoli nella trascrizione di questo nome, molto probabilmente c’è stato un errore molto ironico da parte dei Campani a causa di un diffuso livello medio-basso di istruzione, dove da “Genevre – Genevrese” (quindi di origine svizzera Ginevra) a “genovese”.
Altre ipotesi successivamente parlano di origini ancora più antiche che risalirebbero al Medioevo.
Con qualche ricerca, troviamo un altro cenno primitivo di genovese anche nella prima versione dell’ “Apicio Moderno” di Francesco Leonardi.
Parliamo di colui che ha scritto il capostipite di tutti i ragù napoletani. Questi “maccaroni” alla napoletana, secondo lo scrittore devono essere conditi “con parmigiano grattugiato, pepe e sugo di vitella o di manzo, ovvero un buon brodo di stufato”. Ma nella seconda versione del ricettario, Leonardi scrive che può essere aggiunto del pomodoro al condimento.
Questo nell’800 crea una grandissima confusione!
Ora se andassimo ad analizzare le due città Genova e Napoli troviamo un’altra cosa che ci destabilizza: a Genova ci sono le lasagne alla genovese, in due versioni. Quella “magra”, con il pesto di basilico e quella “grassa”, con cipolle e carne. Mentre a Napoli ci sono i Maccaroni alla napoletana, pure qui in due modi: in una con le cipolle, la carne, il parmigiano e il pepe, in un’altra troviamo l’aggiunta di pomodoro.
Quindi un condimento bianco e un condimento rosso, due sughi identici con due nomi diversi.
Noi non possiamo fermarci qui, nel trovare una soluzione plausibile.
Scavando ancor di più a ritroso ritroviamo una traccia più antica che risale addirittura al 1285 nel “Liber de coquina“, un libro di cucina scritto in latino volgare, presumibilmente a Napoli, dedicato a Carlo II d’Angiò e ritrovato nell’Archivio Nazionale di Parigi.
Qui si trova la “Tria Genovese” dove “tria” è una locuzione che risale al Basso Medioevo per indicare la pasta. Questa ricetta racconta di una salsa la cui caratteristica principale è una cottura molto lenta e preparata con cipolle e carne.
Gli Angioini all’epoca del libro si erano da poco insediati a Napoli e come abbiamo potuto notare l’influenza francese ha lasciato lo zampino spesso e volentieri. Analizzando questo tomo la genovese sarebbe una discendenza del “Boeuf à la mode”, letteralmente “manzo alla moda“, uno dei piatti più importante di Francia: molto probabilmente a questo punto possiamo dedurre che si possa trattare dell’antenato del brasato. Ma perché “alla moda”? Pare che fosse il piatto di portata principale delle grandi feste per secoli.
Dopo aver fatto qualche cenno storico ripartiamo dal principio: Quindi, cos’è il sugo alla genovese?
Si tratta di un condimento bianco, a base di cipolle e carne di manzo, cotto a fuoco lento, per tantissimo tempo, finché le ostiche e maleodoranti cipolle non si trasformano in un intingolo cremoso e profumato, dalle numerose sfumature di colore che vanno dal ramato all’ambra.
Ma perché fuori dai confini campani il piatto è pressoché sconosciuto? Le motivazioni possono essere diverse. Innanzitutto la genesi del piatto, pur sembrando marinaresca in base alle fonti, si è trasformata in cucina d’alta classe.
La presenza della carne di manzo nella preparazione la colloca immediatamente nei piatti aristocratici della storia partenopea, così come l’uso della cipolla nella ricetta tradizionale, la Ramata di Montoro, la colloca nell’alta cucina settecentesca e ottocentesca. Questa cipolla aveva ed ha tutt’oggi un costo più elevato rispetto a una cipolla comune perché ha un sapore unico e una grandissima tenuta della cottura.
La ricchezza della ricetta è il principale scoglio alla diffusione della genovese fuori dalla Campania, ma non è il solo ostacolo. Altro punto a favore della “segretezza” della ricetta potrebbe essere ancora più semplice: non c’è stato bisogno della genovese all’estero perché ricette con la cipolla, più facili ed economiche, ci sono ovunque.
Io diseguito vi lascio la mia di versione.
Ingredienti
Cipolla di Montoro 2 kg
Cipolla di Tropea 1 kg
Cipolla rossa 1
Girello vitello 400 gr
Muscolo di maiale 600 gr
Nervetti di vitello 400 gr
Olio evo q.b.
Sale q.b.
Procedimento
Eliminate la buccia dalle cipolla, tagliate a metà e lasciate in acqua per eliminare l’acidità volatile,per almeno una mezz’ora. Tagliate le cipolle a julienne. In una casseruola fate rosolare l’olio evo con i pezzi di carne, precedentemente tagliati. Quando sarà rosolata e ben colorata aggiungete la cipolla e lasciate cuocere a fuoco lento per almeno 5/6 ore.
Ultimata la cottura aggiustate di sale e mentre la gustate riflettete su quanta storia si cela dietro ogni singolo piatto della nostra cucina italiana.
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