Cucina&Sapori: Simpatica questa sul pane cafone…

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Una rubrica a cura dello Chef Alessandro Nistri|

In passato, la qualità del pane si misurava in base al suo biancore e al chiarore. Oggi non è più così. Negli ultimi anni sono apparse numerose varianti di pane: dall’integrale al biologico, dal pane di malto a quello di segale fino a quello d’orzo; più il pane è scuro, più alto è il suo costo e la sua qualità. Tuttavia, al di là delle mode, il tipo di pane più diffuso a Napoli rimane il “pane cafone”. Un pane dal guscio spesso e croccante, con una mollica alta e ben aerata e un profumo avvolgente, rimane ancora oggi emblema della vera cucina napoletana. Ma qual è la ragione per cui si chiama così? La parola “cafone” serve a indicare una persona rurale, qualcuno scortese o che ha gusti discutibili. Da questa origine deriva l’impiego dell’aggettivo “cafone” per designare il pane della gente comune, in contrapposizione a quello pregiato, aristocratico. Verso la fine del 1700, quando Napoli era governata dai Borboni, arrivò dalla Francia il pane bianco, chiamato pane francese un pane molto soffice fatto con farine di alta qualità, caratterizzato da una crosta sottile che garantiva una grande morbidezza. In opposizione, il pane del popolo divenne il “pane cafone”, non fatto con farina di qualità elevata, ma con farine meno raffinate; appariva leggermente grigio, con una crosta spessa e croccante, caratteristiche che, però, garantivano una durata maggiore: per questa ragione, era anche chiamato pane a ott’ poiché era commestibile fino a otto giorni. Le origini della ricetta non sono chiare: alcuni la identificano con il pane dei Camaldoli, mentre altri la mettono in relazione con le province di Avellino e Benevento. Tuttavia, è più probabile che il pane cafone provenga ai piedi del Vesuvio, precisamente a San Sebastiano, un comune situato al confine tra Torre del Greco e Napoli. Ritorniamo alle radici etimologiche della parola “cafone”: nel 1700 a Corte, i nobili parlavano francese, visto come la lingua dell’aristocrazia, mentre il linguaggio del popolo era etichettato come “cafona”, cioè il napoletano. Lo stesso principio valeva anche per il pane: il tipo pregiato era il francese, mentre quello ordinario era il cafone. Come già menzionato, il termine “cafone” si riferisce a una persona goffa, qualcuno originario della campagna, e le spiegazioni etimologiche sono varie: alcuni affermano che si usa “cafone” perché in passato gli abitanti delle zone rurali che andavano a Napoli, temendo di perdersi nel caos cittadino, si legavano tra loro con una corda (“chill ca’ fune”); altri credono che la fune riguardi quella che fissava la valigia di cartone di chi arrivava da lontano, oppure, infine, che la corda fosse quella usata dai compratori di animali, che si recavano in città per acquistare gli animali che portavano da un campo. Non sapremo mai quale tra queste teorie sia valida; l’unica certezza è che il pane per essere veramente “cafone” deve seguire regole specifiche: innanzitutto deve essere realizzato con il criscito o lievito madre, che deve essere alimentato quotidianamente con acqua, farina di grano tenero e sale; la lievitazione deve avvenire molto lentamente (circa 5 ore) e deve rispettare i tempi naturali di ogni ingrediente (questo permette di ottenere una mollica molto alveolata e con una percentuale di acqua ridotta, assicurando una lunga conservazione).Un altro segreto riguarda la preparazione: il pane cafone va infornato solo nel forno a legna, ma soltanto quando la lievitazione ha raggiunto il suo culmine (questo facilita la liberazione di anidride carbonica e, di conseguenza, la formazione sia del rigonfiamento sulla sommità, sia dell’ispessimento della crosta). Attualmente ci sono anche dei trucchi per imitare la cottura a legna nel forno domestico, quindi se desiderate utilizzare l’elettrico per realizzare un pane simile a quello cafone, vi suggerisco di optare per la pietra refrattaria, che migliora la distribuzione del calore e permette d ottenere una crosta bella e croccante. I napoletani hanno una speciale predilezione per o’cuzzetiell del pane cafone, cioè la porzione finale croccante e rotonda, che tradizionalmente viene immersa nel pentolone dove il ragù sta “pappuliando”. Io qui come sempre vi lascio uno spunto…

Ingredienti
Farina 0 1kg
Acqua 600 gr + 150 gr
Lievito 4 gr
Miele 10 gr
Sale 40 gr
Olio 10 gr


Procedimento
Impastare la farina con il lievito e la prima parte di acqua più il miele. Lasciar lievitare 30 minuti. Aggiungere la seconda parte di acqua con sale e far lievitare. Ogni 30 min fare le pieghe e ripetere per 4 volte. Lasciare lievitare in frigo una notte. Preparare il forno in statico 230`per 10 minuti e a 210` per altri 30 minuti.