di Camillo Buono|
Questa sera abbiamo il piacere di condividere con i nostri lettori un racconto che riguarda una frazione del nostro Comune, Succhivo.
Non vogliamo tediarvi con altre parole, ma vi invitiamo a leggere questa prima parte di un racconto che riteniamo molto interessante sotto un profilo storico-culturale. Naturalmente ringraziamo chi gestisce la pagina social “Ischia d’altri tempi” che ci ha gentilmente concesso di poter pubblicare sulle nostre pagine web questa storia che dimostra un grande e minuzioso lavoro di ricerca.
PARTE PRIMA – Ultimamente, e parliamo per cognizione di causa, sembra che Succhivo sia diventata un campo da gioco alquanto scomodo per alcune persone che, fino a qualche giorno addietro, dormivano beatamente cullate dalle loro convinzioni. Parlare di Succhivo non è certo facile, figuriamoci far comprendere alcune dinamiche le cui radici affondano in epoche ben più arcaiche di quanto si pensi. Ma andiamo con ordine. Quando si cerca di parlare di Succhivo e della sua storia, gli addetti ai lavori, quelli preposti affinché la nostra storia venga indagata, studiata e preservata… subito tireranno fuori il buon Don Pietro Monti o il buon Giorgio Buchner, entrambi pietre miliari dell’archeologia isolana; a buon ragione diremmo noi! Tuttavia, i territori a sud dell’isola, fin da quando vennero attenzionati, diedero non pochi grattacapi agli studiosi, quelli seri ovviamente. Don Pietro Monti, ad esempio, grazie a testimonianze da noi raccolte dalla bocca di coloro che lo aiutarono, sappiamo venne scorrazzato tra Sant’Angelo e Succhivo, a tutte le ore del giorno e della notte, con il solo intento di salvare quanto più materiale possibile. Materiale spesso salvato da terra di risulta durante la costruzione di alberghi e pensioni oppure affiorato durante la coltivazione dei campi. Molto è stato etichettato come proveniente da Cava Grado ma sappiamo che detti reperti arrivavano un po’ da ogni dove, anche dalle zone più impervie di Succhivo. Privati che, pur con poca cultura, si fidavano del prete archeologo, affidandogli quelle “crastole” che per loro valevano poco o nulla. Era una Succhivo in trasformazione e guai a fermare il progresso! Si costruiva per lavorare e per uscire da quella povertà che il paese aveva sofferto fino al completamento della carrabile. E qui casca l’asino. Ma com’era Succhivo in antichità? Per gli “esperti”, in tempi antichi, l’intera area soffrì a causa di mastodontiche frane che ricoprirono gli antichi suoli con detriti che raggiunsero altezze comprese tra i 20 ed i 30 metri. Eresia… Come disse qualcuno… Oggi sarebbe inutile cercare con una “rullina” queste altezze; i secoli sono passati e le quote diminuite ma è innegabile il fatto che parte di questi detriti è ancora al suo posto. Don Pietro lo aveva capito e ne aveva stimato la mole, limitandosi a raccogliere quello che a vista si notava lungo le imponenti pareti tufacee della zona. Altri neanche ci hanno provato. Basterebbe recarsi via mare tra Punta Chiarito e Cava Grado per vendere con i propri occhi lo zoccolo tufaceo e la massa detritica che ad esso si appoggia… Ad oggi, solo pochi esperti in materia hanno avuto il coraggio di affermare quanto detto; rimane il fatto che Succhivo non desta molta attenzione ed ogni possibile lavoro ai fini di un approfondimento archeologico risulterebbe tutt’altro che agevole. Immaginate dover scavare fino a profondità superiori ai 10 o 15 metri! Per carità! Accontentiamoci di quelle poche crastole che ci sono arrivate! La moderna tecnologia certo non aiuta a queste profondità se non al cospetto di attrezzature costose e complicate, certamente non utilizzando georadar economici che al massimo penetrerebbero fino ai 2 o 3 metri. La tomografia, ad esempio, avrebbe dato buoni risultati in quelle aree del paese dove le quote hanno subito notevoli diminuzioni. La costruzione della carrabile non solo divise il paese in più parti ma eliminò buona parte di questi detriti, consentendo oggi, a chi è ancora mosso da genuina passione per la ricerca e per l’archeologia, di investigare il nostro passato in maniera seria e mirata. Già con il saggio “memorie storiche di Succhivo d’Ischia” si portò all’attenzione dei lettori la reale possibilità di poter incappare in qualcosa di sconosciuto, analizzando con le dovute tecnologie, il sottosuolo del paese. Il tutto grazie alla fiducia riposta da molti succhivesi nell’autore, testimonianze raccolte in anni di ricerche. Già da settembre scorso il ridente borgo è sotto l’attenzione di importanti personalità internazionali note nel campo dell’archeologia; il verdetto è sempre unanime: decine di metri di detriti sembrerebbero coprire il tutto! Allora mi chiedo… Possibile che a nessuno piacerebbe porre l’attenzione su questi luoghi? Possibile che non si riesca a creare una giusta sinergia? Tra l’altro, sappiamo che il 6 novembre scorso, presso il Comando dei vigili di Serrara Fontana, è stata depositata denuncia di ritrovamento di materiale archeologico rinvenuto in zona Succhivo. Si tratta di 9 pezzi di diversa grandezza e di diversa composizione, verosimilmente materiale principalmente di epoca romana. Tra essi, sembrerebbe spiccare la presenza di tre pezzi ad impasto tufaceo databili ad un periodo riconducibile all’età del ferro. Sappiamo anche che il tutto è già stato posto all’attenzione della Soprintendenza e speriamo di riuscire ad averne una datazione certa ed ufficiale. Sappiamo anche che altro materiale ceramico è visibile lungo la parete tufacea interessata dal ritrovamento ed anche in questo caso il tutto è stato segnalato alle autorità competenti.


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