Giustizia e sostenibilità: è ora di investire nel futuro, non nelle demolizioni. La riflessione

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di Camillo Buono|

In questi giorni, la nostra comunità si trova al centro di una triste vicenda che ha avviato un acceso dibattito: quello sulla demolizione di abitazioni abusive che, da decenni, sono diventate parte integrante del nostro tessuto urbanistico e sociale. Dopo anni di tolleranza, la giustizia sta cercando di fare il suo corso, ma a che prezzo? È giusto che lo Stato, dopo tanto tempo, decida di intervenire con mano pesante, spendendo centinaia di migliaia di euro di soldi pubblici per demolire ciò che, ormai, fa parte della vita quotidiana delle famiglie?

Quando parliamo di giustizia, siamo spesso portati a pensare alla sua applicazione rigorosa e tempestiva. Tuttavia, la giustizia non può essere considerata un’entità astratta, separata dalla realtà sociale e territoriale in cui si inserisce. In questo caso, la legge sta cercando di sanare irregolarità che sono cresciute e si sono consolidate nel tempo, ma lo sta facendo in modo che rischia di compromettere il benessere di migliaia di famiglie. Rimuovere interi nuclei familiari dalle proprie case, spesso con bambini e persone anziane, è giusto quando, a distanza di decenni, nessun intervento concreto è stato realizzato per evitare l’abusivismo?

Spendere soldi pubblici per abbattere case che, purtroppo, sono diventate parte del paesaggio sociale e urbanistico non può essere considerato un’azione utile per il benessere delle persone. In effetti, sembra più un veleno che una medicina per i cittadini. È un paradosso: lo Stato, che ha il dovere di tutelare i suoi cittadini, in alcuni casi sembra essere complice di un sistema che ha creato l’abusivismo come una sorta di normalità, senza intervenire tempestivamente con politiche efficaci di sviluppo e legalità. Per decenni, il nostro territorio è stato abbandonato a se stesso, mentre gli abitanti, nella speranza di un condono o di una sanatoria, sono stati lasciati a vivere nella precarietà legale.

La politica, soprattutto nel Sud Italia, ha spesso tratto vantaggio da una sorta di “cultura dell’abusivismo”, dove l’irregolarità diveniva una prassi e il condono la soluzione. “Tutt fann e fa pur tu” è stato il motto, alimentato dalla speranza che, prima o poi, le irregolarità sarebbero state “sanate”. Ma questa mentalità ha portato a una costante stagnazione, con una gestione del territorio che ha trascurato le reali esigenze dei cittadini e delle famiglie. Non si tratta di difendere l’illegalità, ma di capire come questo fenomeno sia stato ignorato per troppo tempo da chi avrebbe dovuto prendere decisioni giuste e tempestive.

Ed è così che oggi, il “terremoto della giustizia italiana” sta colpendo il nostro territorio, e i cittadini ne pagano le conseguenze. Tuttavia, non è troppo tardi per invertire la rotta. È necessario un intervento normativo e innovativo che non solo riconosca le difficoltà legate all’abusivismo, ma che affronti anche le sue radici. L’obiettivo dovrebbe essere quello di investire risorse per migliorare la qualità della vita, per promuovere la crescita sociale ed economica, e per tutelare il nostro territorio e il nostro futuro.

La politica locale e nazionale ha ora l’obbligo di fermare questo spreco di risorse pubbliche, indirizzandole invece verso la cura e la salvaguardia del nostro territorio. La nostra isola, la nostra comunità, le future generazioni meritano un avvenire migliore, basato su una vera giustizia sociale che non si limiti alla distruzione, ma che si concentri sulla creazione di opportunità concrete per tutti.

In definitiva, meritiamo una nuova visione, e se la giustizia deve essere una forza che porta beneficio alla comunità, deve saper guardare oltre la semplice applicazione della legge. Deve ascoltare il territorio, comprendere le difficoltà dei cittadini e offrire soluzioni che vanno al di là della demolizione e della distruzione. La vera giustizia è quella che costruisce, che tutela e che favorisce la crescita, non quella che distrugge ciò che, purtroppo, è stato dimenticato per troppo tempo.

Foto di Copertina: Corriere del Mezzogiorno