Perché i sacerdoti non possono sposarsi? Origini e prospettive future

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di Maria Scotti|

Paese che vai, inciuci che trovi: mentre sulla nostra isola imperversa la frenesia di voler sapere di un fatto, nemmeno tanto insolito per noi, accaduto ad alcuni nostri concittadini, di cui non mi occuperò espressamente in questo articolo, mi preme invece soffermarmi su un quesito che spontaneamente accompagna il fatto: “Ma perché i preti non possono sposarsi?”

Domanda che ha portato alla mia mente un ricordo lontano, quando al catechismo facemmo appunto tale domanda e la risposta fu: “Perché si sposano con Dio“. Sappiamo inoltre che il celibato è tipico solo della Chiesa Cattolica Latina, mentre per quella di rito orientale, ossia quelle comunità cattoliche che hanno riti e tradizioni teologiche proprie come bizantini, armeni, ecc., non è così.

Per conoscere al meglio il nostro presente, è sempre importante conoscere la storia che ci ha portato fino a qui, e prima di ogni altra cosa è bene sapere che anche per la Chiesa Cattolica Latina il celibato non c’è sempre stato: sì, avete letto bene, c’è stato un tempo in cui anche i preti cattolici di Roma avevano la facoltà di sposarsi. Un tempo lontano, nei primi secoli del cristianesimo, in cui molti preti erano sposati. Ciò fino al Concilio Lateranense II del 1139, indetto da Papa Innocenzo II. Questo fu uno dei concili più importanti del cristianesimo e fra le tante decisioni che prese, ci fu appunto quella del celibato dei preti.

Le motivazioni le dobbiamo ricercare sia da un punto di vista spirituale che pratico. Dal punto di vista spirituale si è ritenuto che il celibato permettesse ai preti di dedicarsi al meglio e con maggiore dedizione alla loro missione, senza le “distrazioni” dovute alla vita coniugale; ma non c’era solo questo motivo. Da un punto di vista pratico si guardò anche alla gestione dei beni ecclesiastici e al patrimonio della Chiesa: il timore era che un prete, avendo eredi, avrebbe potuto trasmettere i beni ecclesiastici a essi, impoverendo così il patrimonio della Chiesa. All’epoca, come anche oggi, la Chiesa era una grande proprietaria e fonte di molta ricchezza, e si temeva che potessero nascere contrasti fra gli interessi della Chiesa e quelli delle famiglie del clero.

Oggi si discute molto sulla questione, specie in questa parte del mondo dove siamo abituati alle nostre piene libertà di espressione; l’idea del celibato pare più una costrizione che “un dono per la Chiesa“. Anche Papa Francesco ha più volte dichiarato che il celibato non è un dogma della fede, bensì una disciplina, e in occasione del Sinodo sull’Amazzonia nel 2019 ha adottato un atteggiamento più aperto in merito: qui si è vagliata l’idea di dare la possibilità di matrimonio ai preti per servire aree dove la disponibilità clericale è molto limitata, mentre la presenza di fedeli desiderosi di ricevere sacramenti è alta. Fino ad oggi, però, le cose sono rimaste esattamente come le conosciamo. Tuttavia, c’è da sottolineare e mettere in evidenza che anche qui da noi le vocazioni sono sempre meno numerose, tanto che anche la nostra chiesa isolana è minacciata di vedere chiuse o accorpate parrocchie perché mancano i preti. Allora, forse non è il momento affinché le cose cambino?

Ritornando al fatto non tanto insolito per la nostra isola, valutiamolo anche da questo punto di vista: potremmo essere noi portatori di un cambiamento, lasciare la libertà a chi vuole dedicare la propria vita alla missione anche quella di sposarsi (se vuole) e magari, in conclusione, e al di là di ogni cosa, iniziare a mettere in pratica il Vangelo secondo Matteo 7,1-5, dove Gesù dice: “Non giudicate, per non essere giudicati.

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