Cucina&Sapori: Le radici della cucina napoletana 

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Una rubrica a cura dello Chef Alessandro Nistri|

In epoche precedenti, sia aristocratici che scrittori si dedicarono alla cucina redigendo opere che a tutt’oggi forniscono, oltre a informazioni sull’arte gastronomica del loro tempo e precisi libri di ricette, anche ritratti della società in cui abitavano. Uno di questi fu Ippolito Cavalcanti, Duca di Buonvicino e discendente di Guido Cavalcanti (poeta stilnovista e compagno di Dante), con il suo volume Cucina teorico-pratica dal sottotitolo chiaramente dettagliato: cumulativamente con la rispettiva parte ridotta, piccola sezione approssimativa della spesa, con la pratica di scalcare e come utilizzare pranzi e cene. Alla fine quattro settimane, in linea con le stagioni, della genuina cucina domestica in dialetto napoletano. Esploriamo insieme chi fosse Cavalcanti e il motivo per cui molte persone considerano la sua opera come la “Bibbia” della cucina napoletana.

L’autore

Ippolito Cavalcanti è nato ad Afragola nel 1787 e deceduto a Napoli il 5 marzo del 1859. Figlio di Guido, governatore regio di spada e bastone, ricevette l’incarico di esperto gastronomico della Casa Reale Borbone delle Due Sicilie. Nel 1331, la famiglia si era spostata nel Regno di Napoli, dove uno dei membri fu designato Viceré. Già baroni di Buonvicino, i Cavalcanti vennero promossi al titolo rappresentativo di ducato dello stesso feudo nel 1720. Ippolito, oltre a coltivare la sua passione per la cucina, occupò ruoli significativi in ambito pubblico essendo uno degli Eletti di Napoli, i quali costituivano una specie di senato aristocratico attivo nel governo della capitale del Regno delle Due Sicilie. Egli aveva a Napoli un splendido palazzo aristocratico in via Toledo. Il Duca aveva un altro “hobby” oltre alla cucina: il bigottismo, che praticava con identica passione. In effetti, oltre al meraviglioso trattato di cucina, scrisse anche due brevi opere religiose che stabilirono regole chiare riguardo ai riti sacri. Il duca era sempre ben informato sul calendario delle celebrazioni che si stavano organizzando nelle chiese di Napoli: non c’era festività di un Santo patrono o di un Santo fondatore che potesse sfuggirgli! Ed in tali occasioni era generoso di suggerimenti per la preparazione dei piatti che dovevano essere serviti durante i pranzi che seguivano i festeggiamenti. Le ricette redatte che mandava ai parroci si raccolsero quasi tutte nel suo famoso trattato: la Cucina teorico-pratica, che diventerà, per le sue caratteristiche, un punto di riferimento nella letteratura gastronomica italiana.

L’opera

La Cucina teorico-pratica è un insieme di ricette della tradizione gastronomica napoletana, ma include anche alcune preparazioni di origine francese, poiché la cucina d’Oltralpe era, nella prima metà dell’Ottocento, vista come elegante e, per questo, presente sui tavoli dell’aristocrazia e della borghesia. Il volume, edito a Napoli da Luigi Marotta nel 1837, fu arricchito nella seconda edizione del 1839 con l’appendice intitolata “Cusina casarinola co la lengua napolitana” (Cucina casareccia nel dialetto napoletano). Pur essendo il testo di Ippolito Cavalcanti rivolto a un pubblico di alta classe sociale, l’inserimento di ricette usate nelle classi popolari e annotate in dialetto napoletano chiarisce che l’intento dell’autore fosse quello di rivolgersi a una platea più vasta con questa seconda edizione. Tra il 1837 e il 1877, Ippolito pubblica ben dieci versioni del trattato. La pubblicazione del ’47, la quinta, includeva 600 ricette autentiche della cucina napoletana e 100 menu (25 per ogni stagione), segnando il culmine della notorietà dell’autore, che con le sue ricette riuscì a conquistare l’intera Italia. Nel suo saggio, redatto in modo chiaro e diretto, Cavalcanti si ricorda di evidenziare i costi delle portate e di spiegare come sfruttare al meglio ciò che offrono le quattro stagioni: carni, pesci, selvaggina, frutta, vini e dolci. Niente può essere considerato un “avanzo” e qualsiasi cosa può essere riutilizzata: una buona pratica che oggi anche i cuochi di alta cucina stanno adottando.
In questo contesto scopriamo, per la prima volta in forma scritta, la ricetta dei vermicelli con il pomodoro! Nella prima metà dell’Ottocento, gli spaghetti erano già presenti in Italia da secoli, mentre la salsa di pomodoro fece la sua comparsa solo alcune decine di anni prima. Si racconta che l’abate Lazzaro Spallanzani, amante delle scienze naturali, la ideò nel 1762, scoprendo per primo che stipulando pomodori bolliti in contenitori ermetici, questi si mantenessero freschi più a lungo. In effetti, non è possibile determinare con certezza chi abbia avuto per primo l’idea di condire un piatto di spaghetti con la salsa di pomodoro. Tuttavia, è indubbio che questo si verificò in Italia, creando un piatto che avrebbe segnato la storia della gastronomia, non solo italiana ma anche a livello mondiale! Con il suo lavoro, Ippolito Cavalcanti riuscì a catturare un aspetto significativo della cucina napoletana dell’Ottocento che continua a rappresentare le fondamenta della cucina italiana contemporanea.

Titolo: La Vucciria
Autore: Renato Guttuso