Una rubrica a cura dello Chef Alessandro Nistri|
La sfogliatella ha origine nel Medioevo, in un luogo distante da Napoli.
È un dessert senza un vero padre, reso popolare dal cuoco di Papa Pio V nel 1500. Una narrazione intrigante e enigmatica, che attraversa il monastero di Santa Rosa a Conca dei Marini, nella Costiera Amalfitana.
La sfogliatella rappresenta uno dei simboli di Napoli e non esiste un bar, una pasticceria o un comune laboratorio che non la commercializzi.
Le varianti: la riccia e la frolla.
Le varianti, possiedono entrambe tratti distintivi, entrambe deliziose. Rappresentano una vera allegoria dell’anima umana, specialmente nella variante riccia. Riflettete un attimo, guardatela: presenta una superficie esterna intricata, ricca di sfumature color ambra, che racchiude un ripieno soffice ma solido e lo zucchero a velo che la avvolge funge da anticipazione della dolcezza interiore, un assaggio che prelude al squisito gusto cremoso della ricotta e dei canditi.
Frolla è una variante piuttosto recente, ma qual è l’origine della sfogliatella napoletana?
Un po di storia e curiosità
La storia della sfogliatella ha inizio tra Furore e Conca dei Marini, nella Costiera Amalfitana, nel 1600. In modo più dettagliato, ci troviamo nel monastero di Santa Rosa, dove vivono suore di clausura impegnate con la pasticceria, l’agricoltura e la panificazione. Donne legate al voto fatto in gioventù che si concedono un unico, grande, peccato capitale, il più tenero e puro di tutti: la gola.
Nella testa dei campani, il convento di Santa Rosa richiama subito un altro dolce, la Santarosa, e vi stupirebbe scoprire quanto siano legati i due prodotti. La versione più nota sulla genesi della sfogliatella ci conduce in mezzo alle monache, quindi, in un monastero.
Pare che un giorno la madre superiora, suor Clotilde, si sia resa conto di alcuni resti di semola umida nel latte. Buttarli sarebbe stato uno spreco, così si dà da fare: combina frutta secca, limoncello e ricotta, lo cuoce in forno e lo trasforma in un ripieno per un impasto a base di vino e strutto. Due sfoglie sovrapposte che richiamano la forma del cappuccio di un religioso a preservarlo: così prende vita la Santarosa. Ancora oggi questo dolcetto viene preparato con una ricetta molto affini ed è tra le migliori delizie della cucina campana.
Per oltre 200 anni, questa ricetta rimane limitata a quell’oasi che tutto il mondo ci invidia, cioè la Costiera, fino a quando, nel 1818, Pasquale Pintauro la porta a Napoli.
La sfogliatella è un dolce mitico, nel senso più concreto.
La modalità con cui la ricetta della Santarosa sia finita nelle mani di Pintauro, che allora era un semplice oste su via Toledo, è un mistero da chiarire. È fondamentale precisare che ci si riferisce a un dolce mitologico e, come ogni mito che si rispetti, la sua origine è tutt’altro che sicura. La vicenda di Santarosa ha certamente una base di verità, ma la situazione è decisamente più complessa di così.
In effetti, la prima progenitrice della sfogliatella risale almeno al 1570. La conferma della data proviene dalla diffusione di una serie di tomi, cioè “L’opera di Bartolomeo Scappi, maestro dell’arte culinaria, suddivisa in sei volumi”. Questo manuale è stato composto alla fine della vita di Bartolomeo Scappi, il cuoco scrittore, chef personale dei pontefici Paolo III e Pio V.
Nei testi sono riportate alcune delle ricette più significative del periodo, tra cui si trova una “sfogliatella farcita di biancomangiare“. Nome e ricetta unici, si riferisce senza dubbio al dessert reso famoso da Pintauro.
Scappi era originario della Lombardia, quindi stiamo affermando che uno dei dessert più emblematici della tradizione napoletana sia stato creato da un cuoco brianzolo? No, perché non è stato lui a creare quella sfogliatella, ma è stato il primo a parlarne.
“Biancomangiare”
Il biancomangiare rappresenta il piatto principale del Medioevo, ed è una reinterpretazione di una ricetta Romana composta da riso, latte, zucchero, mandorle, lardo, pollo o pesce.
Attorno all’anno 1000 si aggiunge lo zucchero, trasformando il piatto in un dessert. Ancora adesso esistono moltissime varianti di questo piatto sparse per l’Italia.
Il sapore del biancomangiare medievale non è particolarmente avvincente e racchiuderlo in una croccante sfoglia è la soluzione migliore che Bartolomeo Scappi (o chi per lui) ha ideato per servirlo alle cene papali. La dichiarazione del cuoco lombardo è cruciale: il suo lavoro risale al 1570, mentre il monastero di Santa Rosa a Conca dei Marini è stato eretto nel 1681. Come è giunto in Costiera questo dessert? Di cena in cena, di visita in visita, per più di un secolo la sfogliatella farcita di biancomangiare ha viaggiato per l’Italia fino a stabilirsi in Campania.
Non è chiaro come, ma la sfogliatella da nomade decide di diventare residente e, considerando il panorama che si gode da Conca dei Marini, comprendiamo perfettamente il motivo della sua “scelta”.
Nel convento arriva grazie ai “legami” che questo dolce ha con la cristianità, ma come giunge a Pasquale Pintauro? Qui il mistero si complica poiché esistono numerose leggende popolari sull’appropriazione della ricetta da parte del ristoratore napoletano.
Ufficialmente, nessuno conosce i dettagli su come il ristoratore sia riuscito a sottrarre una ricetta antica da un monastero di devotissime monache di clausura, situato su un’impervia cima montana: alcuni sostengono che Pintauro abbia obbligato una sua figlia a diventare suora per il solo fine di appropriarsi della ricetta, ma non esistono documenti che attestino questa possibile atrocità. In base a un’altra leggenda, il “maestro delle sfogliatelle” avrebbe ricevuto la ricetta da una zia che era monaca. Anche in questa situazione, tuttavia, non ci sono prove disponibili.
La spiegazione più plausibile è che Pintauro abbia provato e si sia innamorato della sfogliatella nel salernitano e che, tentativo dopo tentativo, sia riuscito a realizzare una sua variante da proporre a Napoli.
Fino a ora abbiamo discusso della sfogliatella per antonomasia, quella riccia, ma una delle contese più diffuse nelle abitazioni dei napoletani è la storica rivalità con la sfogliatella frolla.
Questa versione emerge circa quarant’anni dopo l’arrivo in città della riccia di Pintauro. Le sfogliatelle diventano un dolce molto ricercato nel capoluogo e sono numerosi i pasticcieri che cercano di imitare il prodotto, con risultati davvero ottimi.
Tuttavia, c’è un inconveniente legato a questo dessert: la sfogliatella riccia è croccante e le sfoglie sono così fini da apparire quasi affilate senza una dentatura adeguata. L’igiene orale è l’ultimo dei pensieri a Napoli a fine Ottocento e sono tanti coloro che devono privarsi di questo piacere della vita.
“come risolvere il problema?”..e la creazione della Frolla”
Entra in scena Pietro Carraturo, creatore della pasticceria attualmente situata a Porta Capuana. Carraturo cerca di individuare una soluzione per non perdere quella vasta porzione di clientela, che per Pietro risulta ancora più estesa rispetto ai suoi rivali. L’indirizzo rappresenta allora il punto d’incontro per le “cafoniere”, termine usato per riferirsi a quelle persone di provincia che giungono in città con le corriere per comprare vestiti, attrezzi e altre “eccellenze”. La provincia di Napoli ha avuto fino alla metà del secolo scorso un’economia prevalentemente agricola e gli agricoltori mostrano una condizione dentale notevolmente peggiore rispetto ai napoletani del centro.
Pietro Carraturo elabora pertanto una ricetta innovativa con la pasta frolla, che può essere “ammorbidita” dalla saliva e apprezzata anche da chi ha qualche dente mancante.
L’immagine rappresentata non è per niente gradevole, ma cattura in modo efficace la drammatica condizione in cui si trova il Mezzogiorno all’inizio del Novecento.
La creazione della sfogliatella frolla è stata semplicemente una strategia di marketing assai astuta. Questo dessert è stato tanto apprezzato da far “invidiare” la tradizionale riccia, al punto che oggi c’è una vera e propria “competizione” per il titolo di “dolce più amato di Napoli”.
Le sfogliatelle, siano esse ricce o frolle, rappresentano un ulteriore esempio di come la cucina italiana affondi le sue radici in epoche remote e continui a evolversi e reinterpretare tradizioni passate.
Io non vi lascio la ricetta ma una foto di un laboratorio di pasticceria dove solo a guardarle vien fame…


