intervista a cura di Camillo Buono|
Negli ultimi decenni, il fenomeno dell’abusivismo edilizio in Campania e, in particolare, sull’isola d’Ischia, ha assunto proporzioni drammatiche, diventando una questione non solo urbanistica e legale, ma anche sociale ed economica.
Ciò che un tempo poteva sembrare un fenomeno circoscritto si è trasformato in una vera e propria emergenza, che oggi vede contrapporsi il rispetto della legalità alla tutela di migliaia di famiglie che rischiano di perdere la propria abitazione.
Le recenti operazioni della Procura della Repubblica, volte a eseguire demolizioni di immobili abusivi costruiti negli ultimi trent’anni, stanno generando un’ondata di preoccupazioni senza precedenti. Il problema, però, non si esaurisce nella mera applicazione delle sentenze: dietro ogni ordine di demolizione si celano decenni di scelte politiche discutibili, assenza di pianificazione urbanistica e un tacito accordo tra istituzioni, criminalità organizzata e bisogni reali della popolazione.
Il risultato è una “Campania” divisa tra chi invoca il ripristino della legalità a ogni costo e chi teme che questa sia solo una giustizia tardiva e selettiva, che finisce per colpire sempre i più deboli.
Per comprendere a fondo la complessità di questa vicenda e le sue possibili evoluzioni, abbiamo intervistato l’Ingegnere Stefano Pisani, uno dei principali esperti in materia e uno degli autori delle leggi sui condoni edilizi varate dai governi “Berlusconi” (Legge 724/94 e Legge 326/2003).
Il suo punto di vista ci offre una prospettiva lucida e documentata su cosa non abbia funzionato nel contrasto all’abusivismo edilizio, sulle responsabilità delle istituzioni e sulle possibili soluzioni per bilanciare il rispetto della legge con la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini. Un’analisi che invita a riflettere su quanto accaduto finora e su quali scelte siano necessarie per evitare che la Campania e l’isola d’Ischia si trovino nuovamente a fare i conti con le stesse problematiche nel futuro.
Negli ultimi decenni, cosa non ha funzionato nel contrasto all’abusivismo edilizio in Campania e a Ischia?
Uno dei problemi fondamentali della questione “abusivismo in Campania” è che, dopo il terremoto dell’80, si è instaurato un tacito accordo tra Stato e criminalità organizzata, come evidenziato anche da una recente sentenza della Corte Europea. La Campania è stata trattata come la “discarica d’Europa” e, in cambio, la camorra ha trovato nell’abusivismo edilizio un nuovo business. Questo sistema inizialmente ha favorito le organizzazioni criminali, ma nel tempo è diventato una prassi comune, coinvolgendo così anche le fasce più deboli della popolazione.
Persone che vivevano in baracche dopo il colera del ‘73 e il terremoto del ‘80 si sono viste costrette a costruire abitazioni di fortuna, sopperendo a una mancanza di politiche abitative attuate da parte dello Stato. Anziché avviare un piano di edilizia residenziale pubblica, le istituzioni hanno chiuso gli occhi su questo fenomeno, permettendone la diffusione e la radicazione sul territorio.
Quindi le Istituzioni hanno responsabilità dirette in questo fenomeno?
Mi verrebbe da dire che la vera “delinquenza sociale” ha albergato nelle istituzioni del passato. Trovo vergognoso che in un Paese democratico l’assenza immorale di controlli sul territorio non abbia mai portato le stesse Istituzioni ad aprire inchieste o chiedere una commissione parlamentare per fare luce su ciò che è accaduto negli ultimi quarant’anni in Campania.
A tutto questo si aggiunge un altro dato inquietante: l’assenza di piani regolatori da circa quattro decenni. Anche il Procuratore Nicola Gratteri ha sottolineato come questa mancanza sia frutto di un’omissione sistematica. La legge nr. 140 del 2004 prevede che, se un Comune non adotta uno strumento urbanistico entro 18 mesi dall’insediamento, il Governatore della Regione possa intervenire e chiedere al Prefetto lo scioglimento dell’amministrazione. Eppure, questo non è mai accaduto.
Dietro queste omissioni potrebbero celarsi fenomeni di voto di scambio e collusione politica. Ma ciò che più mi meraviglia è come ad oggi non sia mai stata avviata una indagine in tal senso.
Quale ruolo hanno avuto le amministrazioni locali e lo Stato nella gestione dell’abusivismo edilizio?
Le responsabilità delle amministrazioni locali e dello Stato nella gestione dell’abusivismo edilizio sono state gravissime. Non solo si sono dimostrate inefficienti, ma in molti casi sono state del tutto assenti, consentendo che il fenomeno dilagasse fino a diventare una vera emergenza sociale. Un esempio lampante è rappresentato dall’articolo 29 della legge 47/85, che prevedeva i piani di recupero degli insediamenti abusivi. Questi strumenti avrebbero potuto non solo tutelare il patrimonio artistico, culturale, ambientale e idrogeologico, ma anche riequilibrare la carenza di standard urbanistici attraverso la realizzazione di opere pubbliche fondamentali come scuole, ospedali, caserme e chiese. Eppure, mentre la legge imponeva ai Comuni di adottare tali piani entro sei mesi, la Regione Campania ha impiegato ben 30 anni per recepirli, dimostrando una lentezza amministrativa inaccettabile.
L’attenzione per il territorio è stata praticamente inesistente. Per decenni si è permesso che le costruzioni abusive proliferassero come consuetudine, così come il commercio irregolare e il traffico illecito di rifiuti. La totale assenza di una pianificazione urbanistica efficace ha lasciato campo libero all’illegalità, con conseguenze drammatiche non solo per l’assetto del territorio, ma anche per la qualità della vita dei cittadini.
E non posso sottacere uno degli ultimi lampanti casi: la gestione della pandemia da Covid-19 che ha ulteriormente evidenziato queste carenze strutturali. La mancanza di strutture sanitarie adeguate in Campania ha mostrato al resto d’Europa quanto siano state gravi le scelte (o le non-scelte) fatte in passato. Se i piani di recupero fossero stati attuati in tempo, oggi avremmo una rete di infrastrutture più solida e funzionale, invece di trovarci a rincorrere le emergenze.
Quali misure potrebbero bilanciare il rispetto della legge con la tutela dei diritti fondamentali di chi vive in queste abitazioni?
A prescindere dall’etichetta spesso utilizzata, io preferisco parlare di abusivisti di necessità, piuttosto che di semplici abusivi. Questo perché la prima casa è un diritto sancito dalla Costituzione, precisamente dall’articolo 47, che prevede che la Repubblica favorisca l’accesso al piccolo risparmio e all’acquisto dell’abitazione principale. Eppure, in Campania – come in altre parti d’Italia – ci troviamo di fronte a un sistema che per decenni non ha garantito strumenti adeguati di pianificazione e sostegno.
Mancano i piani regolatori efficaci, non esistono politiche concrete per il credito agevolato, e l’intervento dello Stato è stato spesso insufficiente o del tutto assente. Questo ha creato una situazione in cui intere famiglie si sono trovate costrette a costruire fuori dai margini della legalità, non per sfida, ma per necessità. Non possiamo ignorare il fatto che dietro ogni edificio oggetto da demolire ci siano persone, storie e bisogni reali.
Lo strumento per riequilibrare questa situazione esiste da tempo, ed è sempre lo stesso: la legge 47/85. Tuttavia, il problema risiede nella sua applicazione. Mentre i professionisti del settore sono obbligati a continui aggiornamenti normativi e tecnici, all’interno delle pubbliche amministrazioni spesso questo non avviene con eguale costanza. Il risultato è una gestione frammentaria e a volte inefficace, dove si finisce per applicare le sentenze piuttosto che la legge stessa.
Da quarant’anni a questa parte, si è diffusa l’idea – errata e fuorviante – che esista un ‘consolidato orientamento giurisprudenziale’ capace di sovrastare la norma scritta. Questo ha generato confusione e ha portato molti avvocati e tecnici a considerare come vincolanti delle interpretazioni che, in realtà, non hanno forza di legge. È bene ricordare che in Italia le leggi le fa ancora il Parlamento, non la magistratura. Serve, dunque, un deciso cambio di rotta, con politiche che sappiano realmente bilanciare il rispetto della normativa con la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini coinvolti in questa complessa vicenda.
Qual è la sua opinione sul disegno di legge Zinzi-Cantalamessa? Potrebbe rappresentare una svolta concreta o rischia di rimanere una soluzione parziale?
Ritengo che questa norma sia poco più di un placebo, un ‘bicchiere d’acqua e zucchero’ che serve a dare l’illusione di un intervento risolutivo, ma che in realtà non affronta il problema alla radice. Si limita a graduare le demolizioni secondo criteri di priorità, ma una volta esaurite le prime categorie si tornerebbe comunque all’abbattimento delle residenze ordinarie.
Il vero dramma, però, è un altro: si stanno demolendo abitazioni in aree come quella flegrea, dove insistono vincoli paesaggistici e di zona rossa, in un contesto geologico particolarmente complesso, segnato dal fenomeno del bradisismo. È paradossale che queste case, che hanno dimostrato di resistere a eventi sismici, vengano abbattute dalle ruspe senza un’adeguata valutazione del contesto. In un Paese civile, tutto questo non può che essere considerato una crudeltà.
Una soluzione legislativa efficace dovrebbe guardare alla questione in maniera più strutturale, considerando la necessità di una pianificazione urbanistica coerente con la realtà territoriale e sociale, piuttosto che limitarsi a interventi punitivi che, di fatto, non risolvono il problema.
Solo a Ischia si stimano circa 10.000 demolizioni, con un costo potenzialmente superiore al miliardo di euro. Non ritiene che questi fondi potrebbero essere utilizzati in modo più efficace per migliorare la sicurezza e l’urbanizzazione esistente? Cosa potrebbe essere fatto per conciliare la legalità con il miglioramento del tessuto urbano e sociale della regione?
Per rispondere a questa domanda, è necessario fare alcune considerazioni preliminari. Innanzitutto, una recente sentenza ha stabilito che l’adeguamento sismico di un edificio abusivo equivale a una reiterazione del reato. Ci troviamo quindi di fronte a un paradosso normativo: abbiamo edifici costruiti negli anni ‘80 che, secondo le nuove normative, non sarebbero più idonei progettualmente a resistere ai terremoti, ma che allo stesso tempo non possono essere adeguati senza violare la legge.
Sulla stima delle 10.000 demolizioni si aprono almeno tre grandi questioni:
1. Da dove arriveranno questi fondi? Parliamo di cifre enormi che, se investite in modo diverso, potrebbero contribuire a risolvere problemi strutturali della regione.
2. Perché le demolizioni eseguite dalla Procura costano fino a tre volte rispetto alle autodemolizioni? Questo è un punto che meriterebbe una riflessione approfondita, perché un’ottimizzazione delle risorse potrebbe consentire di destinare fondi a interventi più strategici.
3. Quale sarà la destinazione finale dei materiali di risulta? Il tema della gestione dei rifiuti edilizi è cruciale, soprattutto in una regione che ha già vissuto crisi ambientali legate allo smaltimento illecito.
Infine, c’è un aspetto di responsabilità politica e istituzionale che non può essere ignorato: se oggi si impone una giustizia rigorosa nei confronti dei cittadini che hanno costruito senza autorizzazione, perché per oltre quarant’anni chi ha permesso che questo accadesse non è mai stato chiamato a risponderne? Perché la magistratura negli anni passati ha tollerato questa situazione senza interventi tempestivi? In questo contesto, diventa essenziale interrogarsi su quale sia il vero obiettivo di queste demolizioni: si tratta di una reale operazione di ripristino della legalità o il rischio è quello di generare un ulteriore squilibrio sociale e urbanistico senza risolvere il problema alla radice? La risposta, probabilmente, sta nella necessità di un nuovo approccio normativo, che miri non solo a punire in tempi ragionevoli gli illeciti, ma anche a trovare soluzioni sostenibili per chi da anni vive in queste abitazioni.
È realistico pensare a una sanatoria delle abitazioni abusive dove possibile e senza rischi per la sicurezza delle persone? Quali potrebbero essere le misure necessarie per permettere questo percorso?
Se analizziamo la questione dal punto di vista economico, la regolarizzazione di queste abitazioni potrebbe rappresentare un’opportunità, anziché un costo per lo Stato. Se si ipotizzasse, ad esempio, un contributo di 10.000 euro dilazionato in dieci anni, parliamo di un introito annuo di 1.000 euro per ogni unità abitativa, una cifra gestibile per le famiglie e al tempo stesso un’entrata per le casse pubbliche. Tuttavia, la politica sembra non voler percorrere questa strada, perché per anni si è costruita una narrazione ideologica che demonizza l’abusivismo edilizio senza però affrontarne le cause e le responsabilità istituzionali.
Ciò che manca è un approccio normativo chiaro e applicabile: invece di opporsi categoricamente a qualsiasi forma di regolarizzazione, sarebbe più logico definire criteri precisi e inderogabili per sanare ciò che è compatibile con il territorio e le normative di sicurezza. Dire ‘no’ a priori, senza fornire alternative, rischia solo di aggravare il problema.
C’è anche una contraddizione evidente: le stesse forze politiche e istituzionali che si dichiarano intransigenti sul tema dell’abusivismo non si sono preoccupate, per decenni, di dotare i Comuni campani di strumenti urbanistici adeguati. In molte realtà locali mancano piani regolatori aggiornati e strumenti di pianificazione che avrebbero potuto prevenire il fenomeno. Eppure, mentre si chiede rigore ai cittadini, si tollera l’inefficienza della macchina amministrativa.
La sensazione è che, più che una battaglia per la legalità e la tutela dell’ambiente, ci siano equilibri politici da mantenere. Non è un caso che in certe aree si sia preferito lasciare tutto nell’incertezza, perché l’assenza di regole chiare genera spazi di manovra per chi gestisce il potere. Forse, più che tutelare il territorio, è stato più comodo per qualcuno avere altri posti da occupare, magari nei consigli di amministrazione di enti e parchi.
La Procura della Repubblica sta lavorando per attuare le demolizioni di tutti gli abusi edilizi in Campania. Secondo lei, è davvero possibile portare a termine tutte le demolizioni, considerando anche le difficoltà pratiche e sociali legate a questa operazione? Oppure ritiene che questo processo finirà per colpire solo una parte delle persone coinvolte, lasciando altri casi “impuniti”?
La prima riflessione che vorrei fare riguarda un evidente squilibrio nelle modalità operative adottate. In altre situazioni abbiamo visto un enorme clamore per il trattenimento di migranti su una nave, mentre in Campania si sono verificati interventi notturni, alle quattro del mattino, per estirpare dalle proprie case famiglie con anziani e bambini. Questo solleva una questione non solo di metodo, ma anche di rispetto dei diritti fondamentali delle persone coinvolte.
Un altro aspetto fondamentale riguarda la natura stessa di queste abitazioni: più che semplicemente ‘case abusive’, esse rappresentano la prova concreta di anni di concussione e corruzione. È impensabile che, nel tempo, sindaci, assessori, consiglieri comunali e forze dell’ordine non abbiano visto e tollerato la costruzione di queste strutture. La vera domanda, quindi, è: perché per decenni si è lasciato fare e solo ora si decide di intervenire con questa rigidità?
Il Procuratore Gratteri ha parlato della necessità di ‘prestiti’ per porre rimedio a 40 anni di omissioni e inadempienze istituzionali. Tuttavia, un altro punto critico riguarda il fatto che si stanno abbattendo edifici considerati ‘corpi di reato’, ma l’eliminazione di un corpo di reato è essa stessa una violazione penale. A ciò si aggiunge un ulteriore elemento controverso: le demolizioni vengono affidate sempre agli stessi consulenti e alle stesse aziende, attraverso incarichi fiduciari, nonostante l’introduzione del nuovo Codice degli Appalti che stabilisce criteri trasparenti per la selezione delle imprese pagate con fondi pubblici.
Alla luce di tutto questo, ritengo che alla fine le demolizioni si fermeranno, ma non per un cambio di prospettiva da parte dello Stato. Il vero ostacolo sarà la mancanza di risorse finanziarie per proseguire con questa strategia. Resta da chiedersi se tutto questo fosse davvero inevitabile o se, con una pianificazione più razionale e meno ideologica, si sarebbero potute trovare soluzioni alternative che tutelassero la legalità senza generare un dramma sociale di tali proporzioni.

