di Camillo Buono|
Non è domenica senza un buon caffè preso seduto presso uno dei bar ubicati nella nostra isola. È un piccolo rito che ti catapulta nell’osservazione di ciò che abbiamo intorno, un momento di riflessione, di pausa, di lentezza. Mi siedo, guardo, ascolto. E questa domenica mi soffermo sulle panchine, che sembrano raccontare più di quanto ci si aspetti da un pezzo di legno e ferro.
Mi trovo nella piazzetta di Serrara e, dal mio punto di osservazione, le panchine stamattina sono tutte occupate. Complice, forse, questo bel sole che scalda il primo mattino. Alla prima panchina, una coppia di ragazzi: occhi negli occhi, mani intrecciate. Vivono quel tempo con la dolcezza di chi si sente al sicuro. Poco più in là, due anziani parlano della loro vita con parole lente, profonde, scandite dal ritmo dei ricordi. E su un’altra panchina, due turisti guardano l’orizzonte con uno stupore silenzioso, quasi grato. Davanti a loro, l’iconica torre di Sant’Angelo e il suo istmo incorniciano un dipinto vivo.
Le panchine, in ogni angolo del nostro territorio, sono custodi di storie. A Fontana, nella piazza, accolgono chi ha voglia di raccontare e raccontarsi: il tempo che fu, certo, ma anche i tempi di oggi. Si discute, si ride, ci si consola. È un piccolo mondo che si rinnova ogni giorno.
Al Ciglio, le panchine parlano piano, come le donne che al tramonto vi si siedono per scambiare parole di casa, di figli, di pane. In quelle parole semplici c’è la verità delle cose che contano davvero.
A Succhivo, sotto i possenti pini, le panchine regalano ombra e refrigerio. In estate sono un’oasi di freschezza, in tutte le stagioni un invito alla lentezza. Anche qui, le chiacchiere scorrono, ma con il ritmo della natura.
E poi Sant’Angelo. Le panchine del borgo sono sedute sulla poesia. Raccontano di uomini di mare e di turisti incantati. Qui ogni volto sembra nuovo, ogni sguardo porta dentro una storia. È un posto dove si viene per lasciare fuori il rumore del mondo e ritagliarsi uno spazio di vita più autentico, più leggero.
Le panchine non parlano, ma ascoltano tutto. E chi sa fermarsi, chi sa osservare, scopre che da lì si vede il cuore di un paese. E forse anche un po’ del proprio.
Così, mentre fantastico con la mente, mi accorgo che il mio buon caffè è finito. Con lui anche la mia piccola osservazione di ciò che, nella frenesia quotidiana, spesso dimentichiamo di vedere con la giusta attenzione.
Alla prossima domenica.


