San Vincenzo, il Protettore che parlava alla pioggia: memorie di una Serrara che pregava insieme

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di Zia Delea|

Ieri sera, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria del Carmine, si è svolta la solenne celebrazione in onore di San Vincenzo, Patrono e Protettore della nostra comunità. Una liturgia intensa, partecipata da tanti fedeli, che ha rinnovato — almeno in parte — quello spirito comunitario di un tempo. L’occasione è stata impreziosita da una nuova esibizione del coro dei papà, una realtà ormai consolidata e molto apprezzata, che ha accompagnato i momenti liturgici con canti profondi, sentiti, capaci di toccare l’anima come l’immancabile Inno a San Vincenzo.

Con l’occasione, è stato anche bello ascoltare a fine messa le voci degli anziani del paese, che con emozione hanno ricordato come un tempo la festa di San Vincenzo fosse molto più sentita, vissuta, quasi respirata. Erano i contadini, soprattutto, a stringersi attorno alla sua figura. Gente abituata alla fatica, alla terra, al ritmo delle stagioni. La sua festa non era solo un giorno di Messa: era un momento di sospensione, di affidamento collettivo, di speranza condivisa.

Un tempo, in questo paese collinare, tutto ruotava attorno all’agricoltura. I raccolti dipendevano dalla pioggia, e San Vincenzo era invocato come colui che poteva mandare l’acqua benefica e tenere lontani i temporali distruttivi. Era il Santo del raccolto, del lavoro, della speranza.

A raccontare questi episodi con passione era il compianto Don Angelo, che tutti conoscevano come “il sacerdote contadino”. Le sue omelie erano dense di storie, intrecciate tra fede e quotidianità, ricordi e piccoli miracoli che, per chi li aveva vissuti, non erano leggende, ma segni di una devozione sincera e collettiva.

Come quella sera, più di cinquant’anni fa. Era un’estate arida, il cielo sembrava essersi dimenticato della terra. Non pioveva da marzo, e ormai era quasi metà settembre. I campi erano assetati, la preoccupazione cresceva. Don Angelo allora invitò la comunità a unirsi in preghiera: propose un Rosario speciale da recitare insieme per chiedere a San Vincenzo di intercedere.

L’appuntamento fu fissato per giovedì 28 settembre, alle 19, dopo la Messa. La chiesa era gremita: uomini appena rientrati dai campi, donne con ancora il fazzoletto annodato, bambini con gli occhi stanchi ma attenti. Finita la Messa, gli uomini decisero di “cacciare” San Vincenzo: portarono la statua fuori, sotto il pino della piazza, e iniziarono il Rosario, seguito dalla preghiera al Santo.

Non fecero in tempo a concluderla che si udì il primo tuono. E poco dopo, la pioggia. Abbondante, improvvisa, quasi avesse ascoltato quelle parole dette col cuore.

Non fu l’unico episodio. La fede in San Vincenzo era semplice, autentica. Non era superstizione, non era uno scambio con il cielo: era l’affidare il proprio lavoro, i frutti di un anno intero, a un Intercessore che si sentiva vicino, che parlava la lingua della gente.

Fa bene al cuore sapere che, nonostante tutto cambi, alcuni segni restano. Anche se velati dalla modernità, certi fili di devozione ancora ci legano. Eppure, rimane la nostalgia per quelle tradizioni più vive, più partecipate, quando la fede era anche una questione di piazza, di mani sporche di terra, di occhi rivolti al cielo con speranza.

San Vincenzo è ancora il Protettore di Serrara. Forse, ogni tanto, bisognerebbe davvero “cacciarlo” di nuovo fuori. Non solo con la statua, ma dai nostri cuori verso il paese, per tornare a pregare insieme. Come si faceva una volta.

E vi riportiamo una parte significativa dell’Inno a San Vincenzo:

Se la pioggia ci nega il celo, se rovine minaccia il gelo, se la terra non reca frutto, se la grandine minaccia tutto, San Vincenzo tu impreca su noi, sulla vite e sul grano pietà.