di Arianna Orlando|
Il pontificato di Papa Francesco è iniziato con un segno di rottura profondo con il passato della Chiesa a partire dalla scelta del suo nome. Egli non si è mai posto di fronte ai nostri occhi suscitando il timore reverenziale del giudizio ma ha sempre approcciato alla famiglia dell’umanità con lo sguardo e l’atteggiamento del pastore misericordioso. Francesco non è il papa della severità ma quello della salvezza e della grazia, che giungono soprattutto quando sono immeritate.
Per tutte queste ragioni noi oggi piangiamo con commozione il papa della misericordia. E per la misericordia, che Cristo stesso ha chiesto in luogo di sacrifici, Francesco ci ha ricordato come si ama e come Dio ci ama. Rinnovando il ricordo del perdono, lui ci ha istruiti circa la Legge che non è dura e implacabile ma necessaria e legittima. Le parole sante di Papa Francesco sono oggi la più grande tristezza per la sua morte ma anche il dono più bello e la grazia di averlo avuto nella Chiesa.
Il peccato, in questa visione, è una condizione umana comprensibile e soprattutto superabile. Il Dio di Francesco è così bello che noi siamo gioiosi della possibilità di vederlo attraverso i suoi occhi: è paterno e fraterno, è amabile e amato, è comprensivo e misericordioso. E Papa Francesco ci ha mostrato l’immagine di una chiesa come “ospedale da campo” in cui lui è stato il primo a chinarsi sulle ferite per curarle.
Se la Chiesa ha avuto il potere di recintarsi tra le mura dell’imperturbabilità, Francesco ha abbattuto quelle mura, ha abbandonato l’imperturbabile e ha guardato con amore alle periferie della geografia e dell’anima. Ha riscritto così la storia di una Chiesa clemente e soprattutto accogliente verso gli ultimi. Come Gesù, Francesco ha “scandalizzato” la Chiesa e ha reso fattibile il messaggio chiuso nel Vangelo e custodito da una chiesa altolocata e profondamente radicata nella decisione di dividere noi umanità tra i giusti e gli ingiusti.
Abbiamo perso il papa che ha abbandonato le vesti del giudice e si è fatto “prossimo” ricordando a noi tutti che il messaggio divino non è la difesa armata del proprio punto di vista, ma la sovversione che accade nella vertigine del momento in cui si incontra l’altro.
Con il suo corpo malato, papa Francesco ci ha salutati l’ultima volta nel giorno di Pasqua tenendo salda la figura di pontefice e di guida che non viene meno nemmeno nei momenti della prova. E con questa immagine noi siamo invitati a salutare il papa della misericordia, amato e contraddetto, spiritoso e indolente, che mai ci pose nel modo di temerlo e sempre ci fece sentire amati soprattutto nei momenti in cui lo meritavamo di meno.


