di Elia Mollo|
È vero che l’essere umano ha una straordinaria capacità di adattarsi e superare situazioni estreme, spesso ritenute impossibili. Ancora più straordinario è il coraggio e la forza di una madre, pronta a tutto per il proprio figlio. La storia di Ada Blackjack è un esempio di resilienza e determinazione, che arriva fino a noi grazie al suo diario. Un racconto che sembra uscito da un film, ma che è assolutamente reale.
L’inizio di una vita difficile
Ada Blackjack nacque nel 1898 in Alaska, e la sua vita iniziò subito in salita. Rimasta orfana di padre da bambina, fu affidata a dei missionari che le insegnarono a leggere i libri biblici e a cucire. A 16 anni sposò un musher, un conduttore di slitte trainate da cani, con cui ebbe tre figli. Tuttavia, il matrimonio si rivelò infelice: il marito era violento e Ada fu costretta a vivere una vita di sacrifici e privazioni.
Negli anni successivi, le prove non cessarono: perse due dei suoi figli e, un giorno, il marito scomparve senza lasciare traccia, abbandonandola sola con il piccolo Bennett, di soli 5 anni, malato di tubercolosi. Senza risorse e in un angolo remoto dell’Alaska, Ada decise di non arrendersi.
La salvezza di un figlio
Con coraggio, percorse a piedi circa 65 chilometri per raggiungere Nome, nella speranza di trovare lavoro. Nonostante i suoi sforzi, non riuscì a mantenersi e fu costretta ad affidare Bennett a un orfanotrofio, con la promessa di riprenderlo non appena possibile.
La sua occasione arrivò quando vide un volantino: l’esploratore canadese Vilhjalmur Stefansson cercava donne inuit per una spedizione nell’Artico, offrendo 50 dollari al mese. Un’occasione che Ada non poteva lasciarsi sfuggire: quei soldi avrebbero potuto salvare suo figlio.
La spedizione su Wrangel Island
Nel 1921 Ada si unì alla spedizione come unica donna e unica inuit, accanto a quattro uomini bianchi. L’obiettivo era raggiungere Wrangel Island, nell’Oceano Artico, una terra ostile e gelida.
All’inizio tutto procedette bene: riuscirono a costruire un accampamento solido, cacciavano animali e Ada si occupava di cucinare e realizzare abiti caldi. Tuttavia, dopo il primo anno, la situazione precipitò: la nave dei rifornimenti non riuscì a raggiungerli a causa del ghiaccio.
Nel 1923, con la fame e le tempeste che mettevano a dura prova la sopravvivenza del gruppo, il capo spedizione e due membri tentarono di raggiungere i soccorsi, ma sparirono nel nulla. Ada rimase sola con Lorne Knight, gravemente malato, e Vic, la gatta che li aveva accompagnati fin dall’inizio e che divenne la sua compagna fedele.
Nonostante le condizioni disperate, Ada non si arrese: percorreva chilometri a piedi in cerca di cibo, si adattava alle tecniche di caccia artiche, costruì una barca ricoperta di pelli e realizzò guanti per proteggersi dal gelo, usando la sua abilità di sarta.
La lotta per la sopravvivenza
Ada raccontò quei mesi tremendi nel suo diario, testimoniando la fatica quotidiana, la fame crescente e la solitudine devastante. Knight, immobilizzato dalla malattia, la accusava di non trovare abbastanza cibo, ma Ada, ogni giorno, lottava contro il gelo, costruiva trappole, cacciava uova di gabbiano, affrontava tempeste e persino orsi polari.
Nei momenti più difficili, Ada trovava forza pensando al suo amato Bennett. Continuava a ripetersi:
“Finché sono viva, ho speranza.”
Knight morì e Ada rimase completamente sola con la sua gatta Vic. Continuò comunque a resistere, a cacciare, a costruire una piattaforma per avvistare gli orsi e a mantenere viva la speranza.
Finalmente, il 19 agosto 1923, dopo 703 giorni su Wrangel Island, arrivò la nave Donaldson. Ada, avvolta nel parka cucito da lei stessa, e Vic furono tratte in salvo. Ada divenne un’eroina: la “Robinson Crusoe dell’Artico”.
La vita dopo l’Artico e il secondo matrimonio
Tornata a casa, Ada ottenne una breve notorietà. Ma per lei contava solo una cosa: curare Bennett. Stefansson acquistò il suo diario per scriverne un libro (The Adventure of Wrangel Island), ma non mantenne mai la promessa di riconoscerle una parte dei proventi.
Ada riuscì comunque a raggiungere Seattle e a pagare le cure per Bennett, anche se la fama si spense rapidamente. In seguito, si risposò e ebbe un altro figlio, Billy. Anche questo secondo matrimonio finì presto, lasciandola nuovamente sola.
Il ritorno in Alaska
Nel 1937 Ada tornò in Alaska, colpita dalla tubercolosi. Fu costretta a separarsi temporaneamente dai suoi figli, che affidò a una casa per bambini. Dopo nove anni riuscì a riunirsi a loro, stabilendosi a Nome. Per mantenere la famiglia si dedicò all’allevamento delle renne e alla caccia.
Nonostante tutte le difficoltà, Ada lottò per garantire una vita dignitosa ai suoi figli. Bennett, però, rimase fragile di salute e morì nel 1972 a soli 58 anni. Billy, suo fratello, si impegnò a lungo per ottenere un riconoscimento ufficiale per il coraggio della madre.
Un amore più forte di tutto
Il legame tra Ada e Bennett era più profondo della semplice maternità. Ogni passo nell’Artico, ogni giorno di lotta contro la fame e il gelo, era mosso dal pensiero del figlio. In un mondo ostile e spietato, l’amore di Ada rimase la sua unica guida e forza.
La storia di Ada Blackjack è una delle più straordinarie testimonianze di coraggio, resilienza e speranza. Una storia che ci insegna che, anche nei momenti più bui, l’amore può renderci capaci di compiere l’impossibile.

