di Camillo Buono|
Sono seduto, come ogni domenica, al tavolino del bar vista mare. Il caffè è ancora caldo, ma i pensieri già vagano. Il mio sguardo si allunga verso la spiaggia, dove una piccola “tribù” di bambini corre felice tra secchielli, onde e castelli destinati a crollare prima ancora del tramonto.
C’è qualcosa di profondamente naturale in quella scena. Qualcosa che appartiene all’isola più di qualsiasi monumento. Perché qui, a Ischia, il mare non è solo paesaggio: è cortile, è compagno di giochi, è scuola. E quei bambini, con la pelle già un po’ salata, sembrano nati per muoversi tra le barche tirate a secco e gli scogli neri.
Penso a quando ero bambino io. I nostri pomeriggi finivano sempre in spiaggia, anche se avevamo già fatto il bagno la mattina. Le ciabatte non erano obbligatorie, e il costume poteva resistere settimane. Le mamme ci chiamavano col nome pieno dalla riva, ma noi ci nascondevamo dietro una barca o un pattino. Non per disobbedienza, ma per allungare un po’ la libertà.
Qui, l’estate arriva prima. E i bambini dell’isola imparano presto a conoscere le maree, a leggere il vento, a capire quando il mare è amico e quando no. Imparano a tuffarsi senza paura e ad aspettare il tempo giusto per farlo. Il mare ti educa così: ti offre tutto, ma pretende rispetto.
Mentre sorseggio l’ultimo goccio di caffè, uno di quei bambini si avvicina alla riva con una bottiglietta di plastica piena di sabbia e acqua. Forse è una pozione magica, forse un esperimento scientifico. Lo guarda come se contenesse un segreto. E in fondo, forse lo contiene davvero.
Mi viene da sorridere, perché so che tra qualche anno, quel bambino parlerà del mare come si parla di un parente stretto. Dirà “il mio mare”, non per arroganza, ma per affetto. Perché un bambino isolano non ha bisogno di tante parole: il suo linguaggio passa per gli spruzzi, le nuotate, le immersioni in apnea per cercare una biglia persa tra le alghe.
In un mondo che corre, che si affolla di schermi e notifiche, vedere un gruppo di bambini inseguire le onde mi ricorda quanto poco basti a sentirsi liberi. E forse è questa la vera ricchezza di chi cresce su un’isola: avere il mare come cortile, come confidente, come maestra di vita.
Il sole sale ancora un po’. I bambini urlano, ridono, litigano e si rincorrono. Io pago il conto, ma resto ancora un attimo seduto. A guardare, a ricordare, a ringraziare.
Perché l’infanzia, qui, profuma di sale. E certe cose – come il primo tuffo dell’estate – restano addosso per sempre.

