di Camillo Buono|
C’è un momento, la domenica mattina, in cui per me il mondo rallenta. Il caffè si beve più piano, la radio suona vecchie canzoni e il rumore del mare arriva da lontano, quasi a ricordarti che sei fortunato a vivere su un’isola. È in quel silenzio dolce, tra una pagina di giornale e un sorso di caffè fumante, che riaffiorano certi pensieri.
Oggi, ad esempio, penso alle feste di paese. Quelle che tornano puntuali ogni anno, con i loro suoni, i profumi e quella gioia discreta che sa di casa. Non sono solo tradizione: sono memoria viva, sono identità.
E allora, mentre fuori il sole filtra tra le tende e il cucchiaino gira lento nella tazzina, ti invito a fare con me questo viaggio tra fede e allegria, tra processioni e feste di piazza, alla scoperta di ciò che, più di ogni altra cosa, ci tiene uniti: il senso profondo di appartenenza.
C’è qualcosa che parla all’anima nelle feste di paese che si celebrano, puntuali, ogni anno sull’isola d’Ischia. Sarà il suono delle campane che si mescola alle risate dei bambini, o forse il profumo delle cose buone e genuine che invade la piazza subito dopo la processione. Ma in quei momenti, in quelle giornate così piene di vita, è come se il tempo si fermasse e l’anima dell’isola si mettesse a nudo.
Le feste patronali di paese riescono come poche cose a tenere insieme ciò che sembra lontano: la devozione più sincera e il bisogno umano di leggerezza. Al mattino, la comunità si stringe in chiesa per la messa solenne, si raccoglie dietro le statue dei santi che attraversano le strade e i vicoletti al suono delle marce religiose, con gli occhi lucidi di fede e rispetto. È un momento in cui anche chi non mette spesso piede in chiesa sente il bisogno di esserci. Perché quelle processioni, quei canti, sono parte del nostro essere cristiani e ischitani.
Poi, come per incanto, il sacro lascia spazio al profano, ma senza stonature. Anzi. Inizia la festa popolare, quella delle bancarelle, dei balli in piazza, dei bicchieri di vino e dei panini con la salsiccia. E se ti fermi a guardare bene, capisci che anche quella è una forma di preghiera. È la gratitudine semplice di un popolo che celebra la vita, la terra e la sua gente. È la mano di Dio che ti accompagna fino alla soglia della chiesa e poi ti aspetta fuori, sotto un pergolato, con un bicchiere in mano e un sorriso buono.
Queste feste riescono anche a fare qualcosa di straordinario: riportano a casa chi era andato via, raccolgono volti nuovi e curiosi, e fanno sentire tutti, per un giorno almeno, parte di qualcosa di più grande. In un mondo che corre veloce, dove tutto sembra effimero, le feste di paese restano un punto fermo. Una carezza sul cuore. Un caffè lento, come quello della domenica.

