di Elia Mollo|
Ci sono notizie che ti lasciano senza fiato.
Le leggi e ti entrano dentro con una forza tale da spogliarti di ogni difesa, ti rendono inerme, vulnerabile — come persona, come essere umano, e, ancor di più, come genitore.
In questi giorni ho letto della morte del figlio del centrocampista belga del Bari, Matthias Verreth: un bimbo di poco più di un anno, scomparso improvvisamente dopo un ricovero in ospedale per un virus che, inizialmente, non sembrava destare preoccupazione.
Poi, il peggioramento repentino. E infine, la tragedia.
Subito dopo, un’altra notizia straziante: la scomparsa di un ragazzo di quindici anni, figlio dell’ex portiere della Roma Julio Sergio.
Combatteva da cinque anni contro un tumore cerebrale. Cinque lunghi anni di battaglia, terminati troppo presto.
Quindici anni. Un’età in cui si dovrebbe solo sognare, ridere, giocare.
E ancora, poche ore fa, il dolore si è riaffacciato con la notizia della morte del piccolo Leon, figlio del portiere del Bayern Monaco, Sven Ulreich.
Aveva solo sei anni e lottava da tempo contro una malattia.
Un altro sorriso spento. Un’altra giovane vita spezzata.
E la prima domanda che mi salta alla mente è:
come si sopravvive a un dolore così grande?
Come può un genitore continuare a vivere senza la persona a cui ha dato la vita?
È un pensiero che fa male anche solo a sfiorarlo.
È qualcosa di profondamente contro natura.
Se ci pensiamo, esiste una parola per chi perde il coniuge: vedovo, vedova.
Una parola anche per chi perde i genitori: orfano.
Ma non esiste una parola per definire un genitore che perde un figlio.
Perché non dovrebbe esistere nemmeno quella realtà.
Rialzarsi da un dolore così, credo, sia una prova disumana.
Eppure, la vita — a volte — costringe a farlo.
Magari veniamo a conoscenza di queste tragedie perché coinvolgono nomi noti.
Ma chissà quanti altri bambini ci lasciano ogni giorno nel silenzio, senza una foto sui giornali, senza un post che li ricordi.
E non per questo il loro dolore, o quello dei loro genitori, vale meno.
Il dolore, quello vero, non fa distinzioni.
Forse non abbiamo risposte a tutto questo.
Forse, davanti a certi dolori, possiamo solo stare in silenzio.
Ma quel silenzio, se lo ascoltiamo bene, ci chiede una cosa semplice e urgente:
non restare indifferenti.
Davanti alla fragilità della vita, dovremmo imparare ad essere più umani, più presenti, più grati.
A stringere più forte chi amiamo.
A non dare mai nulla per scontato.
Perché, a volte, in un giorno qualsiasi, tutto può cambiare.
Davanti a un dolore così, non ci sono parole.
Ma forse c’è un dovere: non dimenticare.
E imparare, ogni giorno, ad amare un po’ di più.
Time can bring you down,
time can bend your knees.
Time can break your heart,
have you begging please, begging please.
Il tempo può buttarti giù,
può piegarti le ginocchia.
Il tempo può spezzarti il cuore,
ti prego dammi la forza, ti prego dammi la forza.
Beyond the door there’s peace I’m sure,
And I know there’ll be no more tears in heaven.
Oltre la porta c’è pace, sono sicuro,
E so che non ci saranno più lacrime in paradiso.
TEARS IN HEAVEN – ERIC CLAPTON

