di Camillo Buono|
La politica discute, media, si arrocca nei conciliaboli di palazzo — e intanto, fuori, le case crollano. Non è una metafora: è cronaca di oggi. Al Senato è stato depositato il Disegno di Legge n. S.1671, titolato “Disposizioni urgenti per il superamento della crisi edilizia e urbanistica nella città di Milano”. Leggetelo (lo abbiamo allegato in fondo all’articolo): non è un generico intervento sulle regole nazionali, è un provvedimento fatto su misura per Milano.
Chi lo definisce una “sanatoria mirata” non esagera. Il testo prevede procedure straordinarie che, nella pratica, possono regolarizzare immobili abusivi sotto lo sguardo pietoso della “Madonnina” — mentre il Sud resta arroccato tra demolizioni rapide, esecuzioni sommarie e famiglie sbattute per strada. Non è retorica: è la realtà documentata.
Ed è qui che emerge la rabbia di chi ha perso o rischia di perdere la casa per mano delle ruspe di Stato. Case abbattute con una rapidità e una ferocia impressionanti, in nome di una legalità selettiva. A Napoli e in Campania la parola d’ordine è una sola “D E M O L I Z I O N E”; a Milano, invece, si chiama “riqualificazione” o, più semplicemente, salvataggio dei patrimoni immobiliari ritenuti strategici: ma strategici a chi? a cosa? Forse per gli amici degli amici?
Il risultato è una sola, insopportabile verità: disuguaglianza istituzionalizzata. Una legge che concede attenuanti o sanatorie a seconda del capoluogo tradisce il concetto stesso di Stato. Non possiamo accettare che gli interessi degli “amici” contino più di quelli della collettività, né che la politica nazionale e locale tacciano davanti a un doppio binario così evidente.
E oggi, da quanto si apprende, alcuni esponenti vicini ad associazioni per il diritto alla casa — persone che si erano candidate proprio per provare a risolvere questo corto circuito — hanno lasciato la compagine politica di riferimento. E non si sono fermati: stanno costruendo nuovi schieramenti e alleanze con altri partiti, per dare voce a chi oramai oltre la casa ha perso anche quella. La frattura è reale e profonda.
Il problema non è tecnico: è morale e politico. Un abuso edilizio non può avere “due pesi” a seconda della latitudine. Se lo Stato è uno, la legalità deve essere uguale per tutti. Altrimenti si parla di privilegi, non di legge.
Diciamolo chiaramente: i cittadini della Campania non possono più subire le disuguaglianze di Stato. Se esiste ancora un senso di giustizia e unità nazionale, questo disegno di legge deve essere fermato o riscritto, affinché sia davvero equo e trasparente. Non può esserci una Milano “salvata” e una Campania “rasa al suolo”.
Se la politica non reagisce contro questa disparità selettiva della nazione, allora la società civile deve provvedere. Le associazioni hanno già mosso passi concreti, i movimenti per il diritto alla casa si organizzano, e chi ha lasciato la politica sta tessendo alleanze per dare voce a chi non ce l’ha più. Non è rassegnazione: è resistenza organizzata.
La scelta è semplice e crudele insieme: o la legalità è uguale per tutti, o non è legalità. Se la politica nazionale preferisce salvare facce e interessi di pochi, allora ci sarà chi — con gli strumenti della protesta democratica e della battaglia legale — pretenderà giustizia fino in fondo. Le case non sono bottini da dividere secondo il colore politico: sono il diritto elementare di ogni famiglia.

