di Camillo Buono|
Da qualche giorno, il mare ha ritrovato un po’ di silenzio. Dal 1° novembre 2025, infatti, è entrato in vigore il divieto di pesca sportiva del nasello (Merluccius merluccius), che durerà fino al 31 dicembre 2025. Una misura che coinvolge anche la pesca professionale, seppure per un periodo più breve — fino al 30 novembre 2025 — come disposto dal Decreto MASAF n. 582398 del 29 ottobre 2025 emanato dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste.
Si tratta di un provvedimento in linea con le più recenti direttive dell’Unione Europea, che hanno ormai assunto un ruolo centrale nella regolamentazione della pesca, sia sportiva che professionale. L’obiettivo dichiarato è chiaro: salvaguardare la fauna ittica marina e garantire la biodiversità, in un momento storico in cui il mare stesso sembra gridare aiuto.
Non tutti, però, hanno accolto con favore questo stop. C’è chi lo vive come un’ulteriore limitazione, chi teme ripercussioni economiche, e chi — tra i tanti appassionati di pesca sportiva — si sente privato di un contatto diretto con il mare, vissuto come un rituale, un dialogo silenzioso tra uomo e natura. Ma al di là delle polemiche, questa pausa obbligata dovrebbe forse essere letta in un altro modo: come un tempo di rispetto.
Il nasello, con le sue carni delicate e la sua presenza costante nei nostri mercati, è diventato negli anni simbolo di un equilibrio che si è lentamente incrinato. Le reti si calano, ma sempre più spesso tornano a riva leggere. Le acque che un tempo pullulavano di vita, oggi sembrano trattenere il respiro.
E allora la domanda che molti si pongono — e che il provvedimento invita indirettamente a riflettere — è se queste misure potranno davvero aiutare il mare a rigenerarsi. Se la sospensione, questa “tregua” imposta, sarà sufficiente a consentire alla vita sommersa di ritrovare il suo ritmo naturale.
Forse sì. Perché il mare, quando gli si concede il tempo, sa curarsi da sé. Sa ripopolarsi, sa sorprendere.
Forse dovremmo imparare anche noi a rallentare, ad ascoltare i suoi silenzi, ad accettare che la sostenibilità non è solo un principio burocratico, ma un atto d’amore verso ciò che ci nutre e ci accompagna da sempre.
Questo divieto, allora, potrebbe diventare qualcosa di più di una semplice norma: un segnale di rispetto, un invito alla consapevolezza.
Perché il mare non è infinito. È un essere vivo, fragile, che ha bisogno di mani attente e di sguardi responsabili.
E chissà, magari quando a fine 2025 le canne da pesca torneranno a scendere in acqua, troveremo un mare un po’ più ricco, un po’ più vivo, e forse anche noi — finalmente — un po’ più consapevoli.
Foto Nunzio Pascale – Sant’Angelo Il Pellicano


