di Elia Mollo|
C’è un titolo che ieri mattina, appena sveglia, mi è saltato agli occhi e non mi ha più lasciata per l’intera giornata:
“Uccide il figlio di 8 anni nel sonno e si toglie la vita.”
Il piccolo Elia aveva solo otto anni. Figlio di genitori separati, coinvolti in una lotta continua per i giorni di affidamento, in un rapporto ormai logorato, senza dialogo, senza punti di contatto. E forse proprio quel conflitto costante, quel clima di tensione e solitudine, ha scavato dentro la mente della madre un dolore silenzioso, una depressione profonda che l’ha consumata fino – si presume – a spingerla a un gesto fuori da ogni logica della natura umana.
Nella notte tra il 18 e il 19 novembre, mentre lui dormiva, la madre gli ha tolto la vita. Poi ha rivolto la stessa violenza verso sé stessa. E oggi, 20 novembre, quasi come un crudele gioco del destino, si celebra la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.
E io non riesco a non chiedermi: come può una mamma arrivare a tanto?
Come può spezzare la vita che lei stessa ha dato, il bambino che ha portato per nove mesi, che ha visto crescere giorno dopo giorno per quasi nove anni?
Da mamma, un gesto simile mi sembra impensabile, inconcepibile, impossibile.
Eppure è accaduto.
Non sono qui per giudicare quella donna: non è il luogo, e non è mia intenzione. Dietro gesti così estremi c’è quasi sempre un buio che nessuno vede, una solitudine che nessuno raccoglie, una richiesta d’aiuto che resta sospesa nel vuoto.
Oggi, però, il mio pensiero va a Elìa.
Vorrei immaginarlo in un posto migliore, un luogo dove l’odio, le liti e il rancore non esistono. Un posto dove un bambino di otto anni può fare l’unica cosa che davvero dovrebbe fare: ridere, correre, giocare, essere libero.
Ciao Elìa.
Che il tuo nome, oggi, ci ricordi quanto sia fragile l’infanzia e quanto sia urgente proteggerla.

