di Camillo Buono|
In questa domenica fredda e tagliente, mentre il caffè mi scalda le mani, non posso fare a meno di osservare come la nostra società, nella sua corsa scomposta, stia perdendo sempre più spesso la bussola.
E il pensiero corre alla recente storia dei tre bambini sottratti ai genitori per decisione della giustizia. Non ho letto nei dettagli il dispositivo di sottrazione dei figli ai genitori, ma da ciò che emerge sembra che uno dei motivi principali sia la scelta dei genitori di vivere in un bosco, abbracciando uno stile di vita “diverso”.
Quel “diverso”, messo tra virgolette, pesa come un macigno. Perché rivela quanto questa società sembri voler uniformare tutto e tutti, trasformandoci in una massa indistinta, plasmata su standard prestabiliti. E chi prova a percorrere una strada alternativa rischia di essere schiacciato, giudicato, punito in ciò che vi è di più sincero, i sentimenti, gli affetti, l’amore.
Lo trovo grave, gravissimo.
Mi auguro sinceramente che dietro quel provvedimento ci siano ragioni assolutaente differenti daciò che sono trapelate e che noi non conosciamo nei dettagli. Ma, qualunque esse siano, resta una domanda che brucia: perché questo rigore non viene applicato anche in tutte quelle situazioni in cui bambini e ragazzi – spesso appartenenti a comunità come quella rom – vivono ai margini, privati del minimo indispensabile, e in molti casi coinvolti in reati di ogni tipo?
Perché due pesi e due misure?
E inevitabilmente riaffiora alla memoria il caso Bibbiano, quella ferita ancora aperta. Una storia in cui alcuni assistenti sociali, anziché proteggere i minori, si trasformarono in un “mostro sociale”, arrivando perfino a giustificare certe scelte con frasi agghiaccianti, come quel “anche il maresciallo dei Carabinieri ha dei figli”.
Un conformismo feroce, piegato a convenienza, capace di travolgere vite innocenti.
Viviamo, insomma, in una società che troppo spesso reprime la libertà dei singoli, mentre tutela interessi che poco hanno a che fare con il bene comune. Una società che pretende di indicarci la via, ma che nel frattempo ha smarrito la propria.
E allora forse dovremmo davvero fermarci un momento. Pensare. Riflettere. Spogliarci da quelle suggestioni di un mainstream sociale che fino a ieri ci ha fatto credere che certe bugie, se pronunciate dai “buoni”, potessero diventare verità assolute. E, anche quando venivano smascherate, dovevano comunque essere perdonate, quasi giustificate, in nome di un conformismo che tutto appiattisce.
Così, in questa domenica gelida, cerco di addolcire l’amarezza di questi pensieri con il mio caffè caldo, che almeno un po’ riesce a scaldarmi dentro.

