di Elia Mollo|
Oggi, come ogni anno, si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999. Eppure, ogni giorno i telegiornali ci raccontano di femminicidi e violenze che sembrano diventare il pane quotidiano. Donne che confondono l’amore con il possesso, che sperano di trasformare la violenza in felicità, donne che concedono quell’ultima possibilità che può rivelarsi fatale, donne che cercano solo una vita normale, l’amore con la A maiuscola, ma lo trovano nella persona sbagliata.
In onore di queste donne, vi raccontiamo la storia di Maria Ceccato. Siamo a Torino, il 3 febbraio 1966. Maria sta preparando la cena per suo marito, Giuseppe Santin, calzolaio stimato in paese, quando lui prende un sedano dalla dispensa e un coltello. Nel tentativo di tagliare la verdura, qualcosa va storto e la lama lo trafigge al petto. Maria, nel terrore, chiama una vicina che avvisa il medico, ma Giuseppe muore pochi minuti dopo in ospedale. Sembrerebbe un incidente domestico, ma l’autopsia rivela una traiettoria così precisa da rendere improbabile che l’uomo si sia ferito da solo.
La polizia si concentra su Maria, sottoponendola a interrogatori estenuanti. Dietro la sua versione emerge un mondo di anni di umiliazioni, violenze e paura. Sposati nel 1955, aveva affrontato l’alcolismo del marito, i continui litigi, le minacce e le aggressioni fisiche. Aveva cercato in ogni modo di salvare il matrimonio, trascorrendo tempo con lui, cercando di tenerlo lontano dalle trattorie e razionando l’alcol senza privarlo completamente. Ma quella sera, durante un litigio, Giuseppe la afferra per i capelli e la picchia, e nel tentativo di difendersi, Maria lo colpisce con un coltello. All’inizio sembra un gesto senza conseguenze, ma poco dopo lui muore.
Il pubblico ministero chiede 13 anni per omicidio volontario. Il 9 maggio 1967 arriva la sentenza definitiva: sei anni e mezzo per omicidio preterintenzionale, con attenuanti generiche e la provocazione. Una donna che ha vissuto anni di sofferenza e violenza, ridotta a una condanna che non può restituirle la vita che le è stata negata.
Ancora oggi, storie come quella di Maria si ripetono. Troppe donne vivono la paura in casa, troppe subiscono violenze silenziose. Raccontare queste storie serve a ricordarci che il problema è reale e urgente. Non possiamo abbassare lo sguardo, non possiamo chiudere gli occhi.
“Fino a quando le donne non potranno camminare libere dalla paura, il sogno di una vita senza violenza resterà lontano, ma ogni voce che si alza lo avvicina un po’ di più.”

Immagine di Mariaceleste Buono

