di Luigi Schiano|
Ai nostri giorni, in cui il consumismo e la fretta la fanno da padrone, le feste natalizie sono caratterizzate da lunghi e gustosi banchetti, in cui i nostri palati vengono allietati da specialità varie della nostra cucina napoletana. Non si fa però in tempo a consumare tutto, poiché ormai siamo abituati a mangiare in maniera soddisfacente e gustosa; vale ormai l’espressione “Natale è tutti i giorni”. Ma nei nostri paesini, nel secolo scorso, le tavole serraresi e fontanesi erano parche e povere. In queste tavole, però, c’era un ingrediente che forse oggi è scemato: l’amore e la fratellanza, la genuinità dei rapporti sociali che suppliva alla fame materiale.
Nel giorno della vigilia di Natale, a mezzogiorno, il profumo del baccalà fritto inondava vicoli e stradine. Era il merluzzo essiccato e salato che veniva comprato molti giorni prima, messo a spugnare nell’acqua e poi soffritto in padella; un’insalata contadina o un po’ di minestra di rape guarniva questo piccolo pranzo vigiliare. A sera tutti i commensali si riunivano per consumare la cena della vigilia. Era tradizione gustare spaghetti al sugo di “stoccafisso”, che non è altro che il merluzzo essiccato; questo era composto e insaporito da noci, nocciole delle nostre campagne e uva passa. I commensali rimanevano svegli fino alla mezzanotte, giocando a volte con le nocciole al gioco delle fontanelle e ad altri giochi di compagnia. Scoccata la mezzanotte, il capofamiglia faceva una piccola processione per adagiare il Bambinello nel piccolo presepe allestito in casa.
Erano sconosciuti al palato panettoni, pandori e struffoli; come dolciume si mangiavano i fichi essiccati l’estate prima, accompagnati con noci e nocciole, e i dolcetti di Natale che venivano acquistati e che gustiamo ancora oggi: i rococò, biscotti duri a forma di ciambella dall’aroma di arancia e nocciole; i susamielli, dolci a forma di S, preparati con farina, zucchero, mandorle e miele e aromatizzati con cannella, pepe, noce moscata; o i mostaccioli, biscotti a forma di rombo ricoperti di una glassa di cioccolato, mentre all’interno sono composti da una pasta morbida dal sapore di miele.
Al mattino di Natale, tutti i componenti della famiglia, adornati con il vestito migliore, partecipavano alla Santa Messa, nel giorno della nascita di Nostro Signore.
Il pranzo natalizio era stato già preparato al mattino presto: si cucinava il coniglio o il pollo allevati in casa e con il sugo si condiva la pasta; i più fortunati, che avevano allevato “il maialino”, gustavano un bel sugo fatto con le polpette, di un sapore squisito.
Erano questi pochi e semplici ingredienti a formare i pranzi e le cene natalizie, poche cose che erano condite con un ingrediente che ai nostri giorni è scemato: la fratellanza, l’amore e il rispetto reciproco tra familiari, paesani e vicini di casa. Sforziamoci, alle porte delle grandi abbuffate natalizie, di imitare il clima di fraternità dei nostri antenati; non sprechiamo o lasciamo andare a male il cibo, ma nel silenzio, se sappiamo che qualche persona non può permettersi una prelibatezza, doniamola di tutto cuore. Visitiamo qualche persona che è sola in questo tempo di nostalgia che evoca ricordi di sedie vuote: è questo lo spirito del Santo Natale che deve contraddistinguerci, la fraternità e l’amore reciproco. Solo così sarà Natale e veramente il Divino Bambino nascerà in ognuno di noi.

